La polemica secondo cui il recente Decreto Liquidità darebbe il via libera all’erogazione di un maxi-prestito alla Fiat Chrysler Automobiles (FCA), grazie alla garanzia dello Stato, ha acceso effervescenti dibattiti. Va precisato che la vicenda Fiat è un po’ più complessa di quanto la si descriva genericamente.
Anzitutto, l’erogazione del prestito avverrebbe sulla base dei criteri fissati dal decreto del governo, che non presuppone che le società beneficiarie siano anche legalmente e/o fiscalmente residenti in Italia, semmai che il fatturato su cui calcolare la garanzia sia quello prodotto sul territorio nazionale.
Dunque, se arriverà il placet di SACE a Intesa, ad essere garantito sarebbe il finanziamento relativo alla porzione di fatturato prodotta in Italia e a salvaguardia di decine di migliaia di posti di lavoro nel nostro Paese. Nessuno strappo alle regole, insomma. Anzi, sarebbe una violazione dei contenuti del decreto, qualora la concessione della garanzia non avvenisse in automatico, come previsto.
Va anche detto che FCA e gli Agnelli sono stati in Italia l’emblema di una società storica in fuga dal nostro Paese per ragioni normative, produttive e fiscali; insomma per risparmiare sui costi. E tutto ciò è stato senz’altro legittimo, anche perché è noto come l’Italia abbia una burocrazia farraginosa, una gestione dei contratti di lavoro inefficiente e, soprattutto, una pressione fiscale insostenibile per competere sul mercato globale.
L’Italia avrebbe a questo punto tre strade da percorrere: approfittare dell’emergenza per “vendicarsi” del torto subito negando la garanzia sul prestito; rilasciare la garanzia incondizionatamente; rilasciare la garanzia a condizione che almeno la sede fiscale torni in Italia. Nel primo caso, ci sarebbe una magra soddisfazione, perché con ogni probabilità ne deriverebbe l’effetto di vedere il gruppo abbandonare definitivamente l’Italia. Non si dimentichi che i vertici stanno trattando la fusione con Peugeot, controllata dallo Stato francese. E uno schiaffo agli Elkann-Agnelli oggi equivarrebbe a un regalo a Parigi, oltre che a Detroit.
L’idea della garanzia condizionata in sé non sarebbe da scartare, se non fosse che il sistema Italia stia imbarcando acqua da tutte le parti. Il livello di tassazione è insopportabile e nessuna grande realtà che debba confrontarsi con la concorrenza globale può permettersi di avere a che fare troppo con Roma. Purtroppo, si deve prendere atto del potere negoziale ridotto da parte dello Stato italiano verso le multinazionali. Se FCA chiudesse gli stabilimenti, ci sarebbero qualche centinaio di migliaia di disoccupati non collocabili altrove. Come comportarsi allora? Garantire il prestito a Fiat, purché il Lingotto cessi di snobbare l’Italia e torni a considerarla come la sua patria alla stregua di un mercato di produzione strategicamente importante per il suo sviluppo.