È sempre più frequente il caso di adolescenti, anche di buona famiglia, che muoiono dopo una notte di sballo, avendo spesso fatto un mix pericolosissimo di alcool e di droghe sintetiche, che inducono patologie, che, nel giro di pochi minuti, possono portare alla morte, da cirrosi epatiche fulminanti ad infarti ed ictus.
Un siffatto costume si è accentuato nel corso della torrida estate, che stiamo vivendo, ma ormai esiste nel nostro Paese da diverso tempo, per cui, finanche d’inverno, quando le occasioni per lo sballo in discoteca sono meno frequenti, non manca il solito morto nelle prime ore della domenica mattina.
Cosa fare per evitare che un patrimonio, quali sono i giovani, possa essere logorato in modo così illogico e tragico, sia per le famiglie di appartenenza, che per la società intera?
Non vogliamo cadere nei luoghi comuni, che puntualmente ritornano in questi casi: le famiglie sono deboli ed impotenti e, molto spesso, quando sono presenti nella vita dei loro figli, lo sono nel modo sbagliato.
Certo è che, da un po’ di tempo a questa parte, si è dato sempre meno valore alla vita, per cui un adolescente è indotto ad assumere droghe, che sa benissimo possono essere letali per lui, piuttosto che continuare a progettare serenamente il proprio futuro, come dovrebbe fare, invece, un ventenne di buona famiglia, che vanta – magari – anche studi importanti alle spalle.
È chiaro che, a partire dagli anni ’70 in poi, i modelli educativi sono cambiati profondamente, ma è altrettanto vero che esiste qualcosa di patologico nel nostro consesso sociale, che fa sì che – sempre più numerosi – i giovani di oggi cercano il fascino dell’illecito e dello sballo, sfidando sovente la morte.
Finanche, la dinamica del rapporto fra i sessi è mutata assai radicalmente: dal momento che non esistono più i divieti di un tempo, sembra quasi che, al vertice delle priorità di un/una ventenne, non ci sia più l’obiettivo della costruzione di una relazione serena con il proprio “lei” o “lui”, ma il tutto si consuma in un rapporto fugace, che invero lascia pochissimo spazio al romanticismo e, soprattutto, all’ipotesi di creazione di una vita in comune.
Tutto si deve consumare nel più breve tempo possibile, per cui l’alcool o le droghe vengono assunte, perché si possa accelerare il meccanismo, psicologico e fisiologico, del piacere: le emozioni non vanno più godute, ma vanno compiute così superficialmente, come può accadere con una qualsiasi altra attività, che non sia vista come essenziale nel proprio percorso, formativo e culturale.
Le agenzie culturali, che sono predominanti nel contesto odierno, dai media alla strada, non disincentivano un siffatto costume, per cui molto spesso le ragioni del mercato prevalgono su quelle del buon senso e della ragionevolezza, determinando il trionfo di stereotipi, che non solo sono dannosi per le generazioni, che ora si propongono alla vita sociale, ma possono in prospettiva determinare cambiamenti ancora più radicali e pericolosi, se non se ne definisce, a-priori, lo spazio di crescita e sviluppo.
Una delle possibili reazioni, infatti, ad una simile deriva non può che essere rappresentata dall’adesione ad integralismi religiosi o filosofici, che, in cambio della Verità e degli Assoluti che propongono ai nuovi adepti, elaborano – molto spesso, in nome di un Dio trascendente – un modello di società di tipo autoritario, rigorosamente alternativo a quella democratica, che non è in grado di intervenire sulle cause scatenanti della dispersione giovanile e della crescente perdita valoriale.
Cosa fare, allora, se si corre il rischio di cadere – come si dice, con un’espressione colorita, in gergo – “dalla padella alla brace”?
I nostri giovani, in un futuro prossimo, dovranno scegliere se appartenere alla società occidentale, che propone loro il facile sballo, oppure a quella che, dando certezze, li obbligherebbe, poi, ad indossare il burqa e ad alienare in Dio le certezze culturali circa il proprio “Io”, privato e sociale?
L’antitesi fra questi due modelli, in verità, non ci piace affatto: gradiremmo piuttosto una terza via, che possa consentire alle giovani generazioni di crescere in modo sano, non perdendo di vista quanto di buono l’Occidente, laico e secolarizzato, ha offerto nei decenni scorsi ai loro padri ed è in grado, tuttora, di proporre a loro stessi.
Saremo in grado di vincere quest’ennesima scommessa culturale, ben sapendo che, da questa, deriva la possibilità che ci sia un futuro degno di tal nome per tutti noi?