Si avverte in ogni categoria sociale l’esigenza del rinnovamento profondo della classe dirigente e del ceto politico del nostro Paese.
Non solo le classi in sofferenza, ma anche la borghesia ormai sente, in modo molto forte, un tale bisogno, che ovviamente alle prossime elezioni di primavera troverà il suo sfogo naturale.
D’altronde, negli ultimi venti anni, dopo la fine della Prima Repubblica, le forze che avevano governato sono sempre state punite dagli elettori, per cui la logica dell’alternanza si è prodotta in maniera molto netta e senza esitazioni, contrariamente a quanto era avvenuto nel corso dei cinquant’anni precedenti, quando invece l’immobilismo l’aveva fatto da padrone.
Orbene, in tale contesto, chi pagherà (o rischia di pagare) il prezzo maggiore è il partito che ha governato dal 2013 in poi, il PD, ed in particolare Renzi, che pure solo quattro anni fa era destinatario di un consenso, che forse nella società italiana non ha avuto alcun altro leader nazionale.
Renzi paga, infatti, il prezzo di qualche promessa di troppo in ambito economico e lavorativo e, soprattutto, paga dazio per una consuetudine politica, da lui introdotta, che non appartiene alla nostra tradizione.
Egli si è posto come un decisionista, in grado di superare gli ostacoli, che di volta in volta si sarebbero frapposti: così facendo, ha dato di sé un’immagine che non è compatibile con i tempi, i riti e le norme della democrazia italiana.
Ha dimenticato che la nostra è, comunque, una democrazia rappresentativa, per cui nessun leader può avere la forza ed il potere di un Premier o di un Capo dello Stato eletti dal popolo.
Per tal motivo, ha cercato di riformare la Costituzione, ma il tentativo è stato maldestro, visti i risultati, che hanno decretato, prima ancora delle elezioni prossime, la conclusione traumatica di un percorso istituzionale, che all’inizio sembrava seducente, ma che si è tradotto poi in esiti catastrofici.
Peraltro, la resistenza al cambiamento non può che penalizzare viepiù il Governo in carica: era ed è tuttora evidente che sarebbe stato molto opportuno che venisse chiesto, dallo stesso Renzi, all’on. Boschi di farsi da parte in un momento così delicato per la vicenda che coinvolge un componente della sua famiglia, a prescindere dal merito delle accuse sulle quali – ovviamente – non si può, né si deve pronunciare assolutamente alcun giudizio.
Ogni giorno, che passa senza quelle dimissioni, rappresenta un fattore di stillicidio per la stessa on. Boschi, per il PD e per il Governo, di cui fa parte, visto che è pleonastico sottolineare come questo è divenuto il principale, se non unico argomento di discussione per far male a Renzi ed al Governo in carica.
È ovvio che nessuno di noi può, concretamente, ipotizzare in quale direzione si muoverà la voglia di cambiamento degli elettori italiani, ma è naturale che è importante per tutti, politici ed osservatori, intuire gli orientamenti della pubblica opinione e cercare di carpirne la direzione, visto che, nella società fluida nella quale siamo immersi, ineluttabilmente corriamo il rischio di non riuscire a metabolizzare un cambiamento dello scenario istituzionale, perché si consuma già quello immediatamente successivo.
O, forse, qualcuno in modo temerario immagina di poter opporsi ad una dinamica, che è interna alle cose stesse?