di Rosario Pesce
Se nei tempi antichi la cultura era vista come strumento indispensabile per l’ascesa sociale di molti strati deboli, oggi purtroppo non sempre la sensibilità è la medesima, per cui molte famiglie, che una volta avrebbero fatto sacrifici per poter consentire ai loro figli di studiare, rinunciano agli studi ed inducono la prole ad andare a lavorare, spesso con mansioni precarie e mal retribuite.
Si dirà che un simile cambiamento è dovuto alla crisi, per cui lo studio non è più una priorità per quelle classi sociali, che hanno il compito molto duro di sopravvivere.
D’altronde, il dato dell’evasione scolastica è un indicatore molto importante: a fronte dell’innalzamento dell’obbligo fino ai sedici anni, purtroppo sempre più sono coloro che si fermano al conseguimento della licenza media, non maturando quindi alcun titolo di formazione professionale che potrebbe essere utilissimo per un ingresso qualificato nel mondo del lavoro.
In particolare, il primo anno di studi della secondaria di primo grado diviene il momento della crisi per definizione: i primi voti insufficienti, il primo insuccesso scolastico conclamato e chi non ce la fa, spesso lascia la scuola per il lavoro o, peggio ancora, per la strada.
È chiaro che non ci si può rassegnare ad un simile scenario.
I progetti, che le istituzioni scolastiche, i vari Ministeri, le Regioni mettono in piedi per fronteggiare il triste fenomeno della dispersione, non sempre sono sufficienti per raggiungere l’obiettivo, visto che il contesto sociale è molto complesso ed articolato, tanto al Sud quanto al Nord.
Peraltro, non solo il mondo del lavoro non è in grado di recepire in modo dignitoso il giovane, che abbandona gli studi, ma sovente si crea una disoccupazione di ritorno, per cui finanche i cinquantenni, che hanno lavorato sin da piccoli, si trovano nelle condizioni di essere disoccupati e di non poter accedere ad alcun livello possibile di sostegno previdenziale.
Anche per questi è necessaria un’operazione di riqualificazione, che possa consentire loro di acquisire nuove competenze e di poter far rientro nel mondo del lavoro per completare l’ultima fase della propria carriera lavorativa.
Ma, il nostro sistema sociale e quello dell’istruzione professionale si trovano ad interagire con condizioni di contesto che non sempre favoriscono la ripresa in modo pieno, per cui è necessario che si diffonda, di nuovo, una sensibilità che metta al centro dell’esistenza – tanto del giovane, quanto dell’adulto – il ruolo essenziale della cultura e della formazione permanente, a meno che non si voglia rimanere indietro rispetto ai nuovi soggetti economici internazionali, con grave nocumento per la società.