“Libreria aperta per resistenza”: il racconto della libraia e scrittrice Miryam Gison

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di Maura Messina – foto di Angelo Orefice

Resistere è una scelta politica e sociale, raccontarlo una necessità coraggiosa. Ed è con questa consapevolezza che incontriamo l’energica libraia e scrittrice partenopea Miryam Gison, classe ’86. 

Miryam ha dato vita alla Libreria “La bottega delle parole”, per incontrarla dal vivo basta recarsi a San Giorgio a Cremano, in Viale Regina dei gigli 2/4/6. L’abbiamo intervistata dopo aver letto il suo racconto: “Libreria aperta per resistenza”.

Come nasce “Libreria aperta per resistenza”?

”Libreria aperta per resistenza” non nasce direttamente per la pubblicazione. Ho iniziato a scriverlo perché volevo partecipare ad un concorso di brevi testi ironici. Poi mi sono accorta che mentre scrivevo avevo bisogno di far uscire altro, di mettere su carta dei sentimenti, delle paure, delle passioni e più andavo avanti, più mi rendevo conto che stava diventando la mia voce, ma anche quella di tanti colleghi librai; stavo raccontando una storia che è la NOSTRA storia, una scrittura individuale che diventava una voce plurale e collettiva. Posso dire con certezza che questo racconto nasce dal 2014, dall’insieme dei giorni e degli anni passati a fare la libraia, ad esserlo.

Com’è passare dalla parte della scrittura?

Quando mi chiamano scrittrice o mi invitano a presentare il racconto mi sembra di essere un’abusiva, di occupare un posto che non mi appartiene, mi sembra di non essere all’altezza di questo ruolo quando penso a grandi scrittori classici e contemporanei. Non posso però negare che mi emoziona moltissimo quando i lettori mi dicono di aver apprezzato il testo, quando mi chiedono di scrivere ancora. Mi provoca un brivido sentir leggere a voce alta ciò che ho scritto per me.

Il libro è parzialmente autobiografico. Come mai hai scelto come protagonista una figura maschile?

Il libro racconta i sentimenti e la passione che mi animano. Inutile negare che molte delle esperienze raccontate fanno parte della mia quotidianità. Ma non volevo raccontare la mia storia. Volevo essere un minimo comune denominatore tra tutti i colleghi che vivono le mie stesse difficoltà, i miei timori, la quotidianità dello slalom tra la carta. E volevo che fosse un uomo perché, non me ne voglia nessuno, per la società il fallimento in un maschio ha più peso. Mi spiego meglio, quando chiude una libreria di una donna sembra che abbia meno peso, c’è sempre qualcuno che pensa “vabbè tanto torna a casa ma il marito la può mantenere”, invece un uomo che rischia il fallimento viene letto come una famiglia in subbuglio, in difficoltà. Faccio questo lavoro da otto anni e, sebbene io sia sostenuta da mio marito in ogni modo possibile, sembra a conti fatti sempre un hobby il mio. Perciò ho voluto invece che il protagonista fosse un uomo.

Con questo scritto hai colto l’occasione di ringraziare chi ti è stato particolarmente vicino, soprattutto il tuo papà. Qual è il suo ruolo nella tua avventura da libraia?

Io ho la fortuna di avere un padre come il super Nonno Peppe, ho la fortuna di aver scelto di somigliargli, di copiarlo in molti aspetti. Ma soprattutto ho la fortuna che lui creda fortemente in me, in quello che sto costruendo, tanto da indebitarsi per permettermi di provarci – perché a proposito di quanto detto prima, in Italia, se sei donna e giovane, come me quando ho iniziato, in banca non ti concedono fiducia. Ora ci sono per fortuna maggiori finanziamenti o bandi. Insomma quello di mio padre è un ruolo dalle molteplici sfaccettature: investitore, fattorino, addetto alla pulizia del parco, commesso, nonno-sitter , corriere, psicologo, autista. E ora con le presentazioni questo ruolo gli corrisponde ancor di più.

Il titolo del libro riporta la parola “resistenza”, quanto la scelta di diventare libraia è una questione di resistenza?

Io credo che la resistenza sia insita in chiunque decide di portare avanti un sogno. E se questo sogno è una libreria, allora ce ne vuole di più. Il mondo della cultura è un mondo difficile, fatto di tanto sacrificio, pochi soldi e molte mortificazioni, più di quanto uno immagini. È però anche un mondo fatto di persone straordinarie, di comunità che diventa famiglia. E allora si resiste non solo per un proprio sogno, ma per le persone che sono coinvolte, un po’ come un genitore che si sente spronato dal bisogno di andare avanti per i figli.

A chi pensa, senza esserci mai stato, che una libreria sia solo un luogo dove si vendono libri, cosa rispondi?

Esistono i punti vendita ed esistono i presidi culturali. Le librerie, quelle belle, quelle piene di personalità, sono centri culturali, e sono quelle che rischiano ogni giorno di sparire. Comprare un libro in librerie come la mia significa aderire ad un progetto, permettere al libraio di organizzare un evento, fare una donazione ad una scuola. Comprare un libro in una libreria è un atto eroico, questo scriviamo noi nella lettera che mandiamo a chi ci sceglie online. A queste persone che pensano che acquistare in uno o in altro punto sia la stessa cosa dico solo: entra nella libreria sottoscala, parla con il libraio, annusa il profumo che emana la carta, fatti contagiare dalla passione, diventa parte di una comunità che ti darà molto più di quanto hai speso per un singolo libro.

Per seguire Miryam e le attività della sua meravigliosa libreria seguite il link:

https://www.facebook.com/www.labottegadelleparole.it

e non dimenticate che sostenere una libreria significa sostenere noi stessi, perché le librerie, quelle “belle” come le definisce Miryam, sono centri culturali, sono presidi di resistenza: in tempi come questi ne abbiamo infinitamente bisogno!

Maura Messina, art-designer napoletana, classe 1985. Da sempre sensibile alle tematiche ambientali, in particolare al dramma della terra dei fuochi. Dal 2014 collabora con varie testate giornalistiche. Autrice del libro illustrato autobiografico “Diario di una kemionauta” e del romanzo distopico “4891 la speranza del viaggio”, editi da Homo Scrivens. Ha partecipato a numerose mostre d’arte come pittrice. Il suo motto è: per cambiare il mondo basta napoletanizzarlo.