L’Inferno Gazawi: le cause del crollo di una flebile tregua

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di Manuel Arabia

L’accordo per un cessate il fuoco suddiviso in tre tra Stato di Israele ed Hamas, raggiunto a gennaio del 2025, è collassato il 18 marzo 2025 a seguito di attacchi drone israeliani, i quali hanno causato oltre 400 morti secondo l’Autorità Nazionale Palestinese. L’attuale scenario di conflitto rafforza le sue radici in un Sistema Internazionale di fatto dominato dall’entrata in scena del repubblicano Donald Trump che ha espresso in modo netto il suo appoggio alla causa israeliana.

La rottura israeliana della tregua è legata a due ragioni: la prima riguarda la debolezza strutturale dell’accordo mediato dagli USA di Biden, Egitto e Qatar. In effetti, l’accordo sul cessate il fuoco, raggiunto il 17 gennaio del 2025, è suddiviso in tre fasi, di cui solo la prima e la seconda risultano essere ben definite in quanto si tratta, nella prima fase, di impegnarsi affinché le parti procedessero con uno scambio di prigionieri: lo Stato di Israele avrebbe liberato 1000 prigionieri palestinesi in cambio di 33 ostaggi israeliani catturati da Hamas in occasione degli attacchi del 7 ottobre. La seconda fase si è aperta il 1° marzo e prevedeva che il gruppo gazawi liberasse tutti gli ostaggi israeliani prima del ritiro parziale di Israele da Gaza a cui avrebbe fatto seguito il ritiro dell’IDF dalla Striscia di Gaza. Concretamente, le operazioni israeliane condotte a Gaza sono motivate dalla reticenza di Hamas di voler liberare i restanti ostaggi israeliani. L’IDF ha, inoltre, sottolineato la natura preventiva del suo attacco, facendo riferimento in via ufficiale alla necessità di contenere le capacità di riarmo e rafforzamento di Hamas. D’altro canto, inevitabilmente, l’accordo raggiunto tra le parti avrebbe rischiato comunque di naufragare a causa dell’impraticabilità della terza fase caratterizzata da una forte genericità e scarsa chiarezza soprattutto per quanto riguarda la questione legata agli assetti politici che avrebbero accompagnato la ricostruzione di Gaza.

Il secondo fattore che ha contribuito ad accelerare il collasso della tregua nella Striscia di Gaza chiama in causa gli Stati Uniti e, più nello specifico, la presidenza del repubblicano Donald Trump: infatti, il 47° presidente degli USA ha manifestato in più occasioni il suo appoggio nei confronti del governo dell’ultradestra religiosa guidato da Netanyahu. In tal senso, risulta emblematico l’incontro istituzionale tenutosi agli inizi di febbraio 2025 in cui il presidente repubblicano, superando le aspettative israeliane, ha proposto un piano di ricollocamento della popolazione gazawi in Egitto e Giordania, affidando la Striscia di Gaza al controllo de facto dello Stato di Israele. La proposta di Trump ha avuto l’effetto di legittimare, sempre de facto, l’occupazione israeliana di Gaza da cui Israele si ritirò nel 2005 sotto il governo di Ariel Sharon con il piano di disimpegno unilaterale. La posizione di Washington ha contribuito a consolidare il piano di pulizia etnica, lanciata a partire dal 1948, dai padri fondatori di Israele con l’intento di estendere il controllo del giovane Stato sui territori di tutta la Palestina storica attraverso un allontanamento forzato dei palestinesi dai territori che abitavano. Alla luce del piano di pulizia etnica della Palestina, la strategia politica e mediatica di Trump consiste nello sfruttamento del conflitto e della presenza di Hamas nella Striscia come duplice pretesto: si mira ad allontanare i palestinesi dai territori della Striscia di Gaza, per tutelare apparentemente la loro sicurezza. Concretamente, la proposta di Trump si pone l’obiettivo di autorizzare lo Stato di Israele a controllare Gaza.

La proposta di Trump non solo legittima il controllo israeliano dei Territori Occupati ma concede al Primo Ministro Netanyahu una maggiore sicurezza, in termini di politiche ed operazioni militari di occupazione, poiché il governo è consapevole che l’appoggio totale degli Stati Uniti permette loro di poter agire più liberamente da limitazioni e pressioni che, al contrario, sono state esercitate dalla precedente presidenza del democratico Biden. In effetti, una nuova operazione militare dell’IDF nella Striscia di Gaza non dovrebbe di fatto stupire, soprattutto al netto dell’appoggio americano.

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