C’è chi si ostina a dire che a Napoli e più in generale in Italia non ci sia spazio per la creatività, che qualsiasi moto partorito dalla mente di un artista possa trovare terreno maggiormente fertile altrove.
Per quanto in alcuni casi sia vero, tale assunto non deve essere onnicomprensivo e non può essere addotto come motivazione e scusante di un ristagno espressivo che troppo spesso intacca i creativi nostrani o presunti tali, mascherato e sintetizzato in una frase di comodo dietro cui trincerarsi: “Sono loro (gli italiani) a volere che le cose vadano fatte così.”
La frase giustifica l’ennesima serial di pessimo gusto o il cinepanettone del momento, anche qui una precisazione: il “cinepanettone” è oramai per molti una forma mentis, un qualcosa che riesce a esulare dai limiti temporali.
Si può fare un cinepanettone anche d’estate, così per dire, e infatti oramai lo fanno sistematicamente anche in quel periodo.
Tuttavia in Italia non c’è solo questo, a piccoli passi, si cerca di cambiare le cose, di riportare la qualità al cinema e in televisione e proprio grazie a questo che l’Italia si è ben difesa agli ultimi “European Film Awards”, EFA per i più concisi, portando a casa ben due premi: uno per la miglior commedia assegnato a “La Mafia uccide solo d’estate”, riuscitissima prova d’esordio di Pif, al secolo Pierfrancesco Diliberto, che a parer mio è riuscito a raggiungere l’acme del film nella commovente clip finale (chi volesse può vederla qui: https://www.youtube.com/watch?v=smxGOrIlyMw); l’altro premio è toccato a “L’arte della felicità” di Alessandro Rak che è stato premiato come miglior film d’animazione (qui il trailer https://www.youtube.com/watch?v=C2QksL40M9A).
Entrambi i film pur se distanti nei toni e nei generi sono due opere da vedere assolutamente, se non vi fidate delle mie parole, spero possano testimoniare a loro favore la lunga lista di premi di cui entrambi i film hanno fatto incetta nelle varie manifestazioni.
A “L’arte della felicità” voglio dedicare qualche parola in più, io stesso curai una recensione proprio per questa testata e fummo proprio noi de “Il domenicale” tra i primi a parlarne dopo che fu presentato il trailer a Lione.
La recensione fu assolutamente positiva, perché “L’arte della felicità” è un film che colpisce dritto allo stomaco e in alcune scene può far anche male, ma nel suo surrealismo rappresenta scampoli di realtà.
Ecco un breve sunto della trama per chi non avesse ancora avuto l’occasione di vederlo:
Nello scenario di una Napoli dalle atmosfere cupe, surreali e pre-apocalittiche, L’Arte della Felicità racconta la storia di Sergio, un ex pianista, ora tassista. Sergio ha abbandonato la musica quando suo fratello maggiore Alfredo, con il quale condivideva questa passione, ha lasciato Napoli per trasferirsi in India.
La scoperta della vera ragione della partenza di Alfredo condurrà Sergio a rinchiudersi nel suo taxi, che diviene un microcosmo in cui la sua storia incontra quella dei passeggeri, testimoni di una quotidianità per lungo tempo allontanato da sé, grazie ai quali il protagonista del film troverà una nuova strada per la felicità.
Tra l’altro segnalo che proprio questo mese è uscita la trasposizione a fumetti de “L’arte della felicità” edita dalla Rizzoli-Lizard, Alessandro Rak è così potuto tornare a un’altra delle sue passioni: il fumetto. Se poi pensiamo che la Lizard è la casa editrice fondata dal compianto Hugo Pratt, uno dei mostri sacri del fumetto italiano, possiamo capire quale sia la portata culturale di questo progetto.
“L’arte della felicità” è un film figlio di Napoli perché ne rappresenta le contraddizioni, i surrealismi paradossali, la linearità assente, il film insomma è stata una sfida vinta e può essere un’occasione per rimarcare un concetto che spesso sfugge: anche Napoli e i napoletani, quelli veri, quelli onesti, possono vincere la sfida, basta mettercela tutta.