Alla maniera di Marco Travaglio, vorremmo anche noi rivolgere un invito – molto sommesso – al Presidente della Repubblica, affinché prenda in considerazione la possibilità di non firmare la legge, che introduce il nuovo meccanismo di voto, visto che diverse ed importanti sono le obiezioni, che ci sentiamo di promuovere contro un dispositivo elettorale, che tende a riprodurre i limiti della precedente norma, cancellata dalla Consulta quando lo stesso Mattarella era giudice costituzionale.
Sappiamo bene come il controllo di legittimità, esercitato dal Capo dello Stato sulle leggi, inerisce solo all’aspetto strettamente formale, per cui Egli non può entrare nel merito politico di un provvedimento varato dalle Camere.
A volte, però, la forma e la sostanza delle leggi tendono a coincidere, per cui ci appare verosimile ipotizzare che una norma, ampiamente discutibile sul piano meramente culturale, possa essere – anche – inficiata da tratti di improbabile incostituzionalità.
Il nuovo dispositivo è stato costruito ad hoc per aggirare le osservazioni fatte dalla Corte Costituzionale, allorquando essa ha cancellato il Porcellum, decretandone l’incostituzionalità, che appariva evidente a molti, già quando il Parlamento varò quel dispositivo di voto, sulla base del quale è stata eletta l’attuale Camera dei Deputati.
Pertanto, per evitare che la Consulta possa di nuovo intervenire in materia elettorale, sarebbe giusto ed opportuno prendere in considerazione un aspetto saliente del nuovo Italicum, che ci appare sempre più un Porcellum rivisto e mal corretto, non emendato del tutto da un profilo di incostituzionalità, che ne determinerebbe un’esistenza assai breve, come appunto è, già, successo con il precedente meccanismo di elezione delle Camere.
In particolare, ci sembra molto discutibile il fatto che la legge, varata dalla Camera, preveda che i capilista siano nominati dai partiti, mentre tutti gli altri candidati devono sottoporsi allo stringente vaglio elettorale; così facendo, circa due terzi dei parlamentari sarebbero nominati dalle Segreterie delle forze di maggioranza e minoranza, mentre la parte residua sarebbe elettiva, violando un principio elementare di uguaglianza, che imporrebbe il medesimo criterio di selezione per tutti i 630 componenti della Camera.
In questi anni, abbiamo sperimentato ampiamente i danni, apportati al sistema istituzionale, dalla nomina dei deputati, che perdono molto dell’autonomia, che dovrebbero – invece – vantare rispetto sia alle Segreterie dei loro stessi partiti, sia al Governo, che avrebbe purtroppo un notevole potere sui futuri deputati, qualora l’Italicum diventasse legge dello Stato.
Per tal via, crediamo che sia necessario introdurre la preferenza per tutti i seggi, che andranno attribuiti, eliminando una norma che risulta equivoca ed ambigua, visto che solo in parte accoglie le osservazioni promosse dalla Consulta, quando bocciò il Porcellum.
Non possiamo dimenticare, infatti, che il Parlamento non solo dà la fiducia al Governo ed approva le leggi, ma soprattutto nomina i giudici costituzionali ed elegge i componenti laici del Csm ed il Capo dello Stato, per cui, qualora passasse l’Italicum, due o – al massimo – tre notabili avrebbero il potere di nomina di circa 400 deputati, essendo così decisivi per le sorti della democrazia italiana.
Evidentemente, è – questo – un meccanismo che merita di essere corretto; dal momento che l’imposizione del voto di fiducia non ha consentito di emendare la norma, non possiamo non auspicare che il Presidente Mattarella, quando dovrà firmare la nuova legge per l’emanazione conseguente, possa far valere le sue prerogative costituzionali, rimandando alle Camere l’Italicum e chiedendo, espressamente, ai parlamentari di mettere mano a questo aspetto delicatissimo del dispositivo elettorale, voluto da Renzi.
Un’eventuale scelta in tal senso, da parte del Presidente della Repubblica, in cui confidiamo fortemente, sarebbe un segnale di fondamentale importanza per il Paese, perché dimostrerebbe che il dibattito politico, benché compromesso in parte dal reiterato e sciagurato ricorso alla pratica fuorviante della fiducia, può consentire l’approvazione di leggi, che siano migliorative della condizione preesistente, peraltro già biasimata aspramente dai giudici costituzionali.