di Maria Rusolo
Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?”
Domenica si vota per i cinque referendum sulla Giustizia ed io non sono qui per scrivere una nota esplicativa dei quesiti, quanto piuttosto vorrei che le persone che si sentono lontane da certi temi comprendessero che si tratta di questioni importanti e fondamentali e senza le quali alcun esercizio dei diritti e delle libertà individuali e collettivi è garantito.
Cosa abbia determinato lo squilibrio tra i poteri dello Stato nel nostro Paese appartiene ormai ai libri di storia, siamo partiti dalla distruzione metodica e scientifica della ossatura della democrazia: i partiti. Il problema è però non tanto da dove tutto abbia avuto inizio, ma cosa questa alterazione abbia determinato nell’esercizio quotidiano della vita dei cittadini.
Certo che vivere in una società dove tutto è complesso, comporta che ci si affidi a tribuni del popolo che possano in qualche modo porre rimedio o mettere una pezza a quello che non funziona. Siamo passati dalla partecipazione attiva alla volontà di delegare alla magistratura il compito di correggere le storture del nostro silenzio e del nostro asservimento alle politiche clientelari. Corruzione e malaffare non si risolvono più negando il consenso e diffondendo la cultura del dissenso e della reazione, ma investendo il potere giudiziario del compito di colpire i politici o gli amministratori che tradiscono il mandato elettorale.
La questione è molto complessa e richiede una riflessione che va anche aldilà della semplice giustizia penale. Il Popolo Italiano ha l’abitudine di scegliersi figure che facciano il lavoro sporco, ha spesso la necessità di vedere stigmatizzato il potente per sentire appagata la propria frustrazione, ma poi quando le cose si fanno difficili, si nasconde come un topo nel terreno per non farsi scovare. Così è stato con il Fascismo e così è stato con la magistratura, salvo poi lamentarsi per aver perso ogni libertà o ogni possibilità di agire e vedersi riconosciuto un posto nel mondo. La giustizia per essere giusta richiede uomini e donne coraggiosi e richiede la necessità di non perdersi in corse all’accaparramento di qualche poltrona o di progressioni in carriera, richiede la rapidità delle scelte, lo sguardo umano, la riflessione, l’onestà intellettuale, lo studio approfondito delle tematiche.
Si è pensato bene da un lato di accrescere la visibilità delle inchieste, consentendo le conferenze stampa e le fughe di notizie, e dall’altro di burocratizzare una macchina che per alimentarsi ha bisogno di senso della misura e non del sangue degli individui. Dovrebbero proprio i magistrati avere come obiettivo primario quello di volere una riforma seria, che consenta loro di intervenire rapidamente evitando che le donne muoiano o che la vita di una persona in attesa della conclusione di un giudizio divenga polvere e cenere, ne va della vita civile ed economica di un Paese.
Ora se mi si chiede se sia giusto che temi così problematici e tecnici siano affidati alla pancia degli italiani, devo rispondere, che io ho ancora fiducia nella capacità di evoluzione e di crescita delle persone e che quando una classe dirigente non è all’altezza, allora le rivoluzioni debbono partire dal basso. Un segnale bisogna darlo in maniera rapida e non senza dolore. I nostri padri hanno lottato per noi e non hanno mai temuto le conseguenze, hanno patito la fame quando era necessario e non si sono preoccupati dei tecnicismi o della complessità che si poneva all’orizzonte. Se si vuole giungere all’alba di un nuovo giorno si deve avere il coraggio di affrontare la notte anche senza una lampada che ci illumini il cammino.
“Se talvolta inclinassi la bilancia della giustizia, fa che ciò avvenga non sotto il peso dei doni, ma per un impulso di misericordia.”