La setta dei “vittimisti”

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di Christian Sanna

E’ sempre colpa dell’altro o della sfortuna. Così i perdenti giustificano sconfitte e fallimenti.  Terrorizzati dall’odore acre della disfatta sono incapaci di fare autocritica e si muovono nello spazio come spaventapasseri capaci di incutere timore solo al buon senso generale, sfiorando il ridicolo. Sono i vittimisti (attenzione a non confonderli con le vittime) gli attori che recitano sempre lo stesso copione, incolpando gli altri per i propri insuccessi.

Il vittimista pensa di meritare più di ciò che vale e per giustificare il mancato raggiungimento degli obiettivi si arrampica sugli specchi: se non sono stato promosso all’esame è solo perchè sto antipatico al docente. Non ho vinto il torneo di ping pong perchè una mosca mi ronzava intorno, disturbando la mia concentrazione. Lei ha preferito uscire con un altro? Allora, si vede che non ha buoni gusti. Non ho fatto carriera come il mio collega, perchè lui è raccomandato e mi ha fatto le scarpe.

Ora voglio dire: ci sta tutto! Esistono i raccomandati e sono pure tanti e di cattiva qualità (vedi mancanza di talento, competenze) come esistono gli errori arbitrali che indirizzano una partita a favore di una squadra, penalizzando l’altra. Esistono individui che non hanno buon gusto e non sanno riconoscere la nicchia (le cose esclusive e più ricercate, s’intende). Esiste chi è talmente in malafede e avido di denaro e successo da fare le scarpe al migliore amico. Ci sta tutto! Ciò che non va è SEMPRE, quell’avverbio che indica continuità e ripetizione nel tempo.

Non può essere sempre colpa degli altri, non è possibile e non è credibile. Ci dev’essere un principio di mediocrità che il vittimista non riesce a riconoscersi e in virtù di questa negazione allarga a macchia d’olio davanti agli occhi più attenti. Studiare otto ore al giorno è probabile che ti fornisca buone possibilità di ottenere un risultato soddisfacente, ma non è garanzia di successo assoluto; si rischia di fare la fine di quei calciatori che in mezzo al campo fanno 10 km a partita, ma il pallone non lo vedono mai e non riescono ad essere determinanti.

A qualcosa serviranno il talento, la genialità, la fantasia, il carisma, il coraggio, l’audacia, l’intelligenza? Ho l’impressione che molti adottino due pesi e due misure quando si tratta di valutare se stessi e gli altri, quando basterebbe un pò di onestà intellettuale per riscattarsi e fare di se stessi persone migliori. Ammettere un errore diventa così un atto di coraggio e dire “Ho sbagliato” è probabilmente un primo passo verso la conoscenza. “So di non sapere”, diceva Socrate. Molti non sanno un bel niente, ma non lo ammetteranno mai e qui scatta il confine, il limite che separa l’uomo saggio, colto ed intelligente dall’individuo medio (perchè no  anche pieno di titoli, attestati, incarichi e bla bla bla, ma privo di quella luce negli occhi che possiede l’essere umano empatico). Gesualdo Bufalino disse “Tiro ogni giorno contro me stesso cento calci di rigore. Grazia o disgrazia, prendo sempre il palo” ed è questo  pareggio il risultato che un individuo deve conseguire; bisogna guardarsi dentro senza ipocrisie e forse anche con un pizzico di crudeltà o se il termine può sembrare meno doloroso diciamo imparzialità e concludere che NON SEMPRE è colpa degli altri, non ci si può ritenere incompresi a convenienza.

C’è gloria nel fallimento, basta solo imparare a vederla. In fondo è quasi meglio una sconfitta dignitosa che una vittoria arrogante; dall’insuccesso se hai il sale in zucca si può imparare tanto, perchè da un fallimento può partire la costruzione del tuo più grande successo. Chi ha imparato a perdere saprà gestire la vittoria, non avrà le vertigini quando starà in alto, perchè è abituato alla sofferenza e al sacrificio. “Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio”, lo sosteneva Samuel Beckett e penso che ci vogliano spalle larghe e molta consapevolezza per sostenere una frase così forte e a tratti sarcastica. E’ sempre colpa dell’altro o della sfortuna.

Così i perdenti giustificano sconfitte e fallimenti. Così ho iniziato questo articolo, con la presuntuosa speranza che dopo la lettura alcuni inzino a concentrasi di più su se stessi e sulle proprie criticità da migliorare, lasciando perdere scuse e alibi che reggono forse solo davanti a chi non vuol vedere la realtà che spesso è più amara di quanto pensato e sognato. La chiave per accedere alla Conoscenza è questa: so di non sapere, ho sbagliato, sono fallibile, chiedo scusa. E’ da qui e cioè da questa umiltà che bisogna ripartire se non ci si vuol ammalare di invidia per morire di mediocrità, senza merito e senza gloria. “Io non ho fallito 5.000 esperimenti. Ho avuto successo 5.000 volte, gli insuccessi mi hanno insegnato che quei materiali non funzionavano”, parola di Thomas Alva Edison, uno che con un’invenzione ha illuminato il mondo.

 

Provo a descrivermi in una frase, ma è un pò come rinchiudere il mare in un bicchiere. Allora potrei definirmi "Un solitudinista visionario animale sociale ed un cercatore di spiritualità, tutto occhi ed inquietudine, perdutamente innamorato dell'Idea che non è ancora riuscito ad afferrare, col cuore di cristallo. Fregato dai sentimenti". Ritengo superfluo aggiungere i titoli di studio conseguiti, i lavori svolti, gli eventi culturali organizzati e presentati, gli impegni nella politica e nel sociale. E se a qualcuno sta balenando in mente l'idea ( sbagliata) che io possa essere un insopportabile presuntuoso, sappia che è appena caduto nella rete che ho preparato. Io voglio che a parlare per me siano gli articoli; i lettori più attenti ci troveranno frammenti d'anima.