di Giosuè Di Palo
Prima o poi avrei voluto affrontare l’argomento “scelte universitarie” ed ansie future. La notizia della scomparsa di una giovane studentessa IULM, di soli diciannove anni, mi ha fatto crescere sempre di più l’urgenza di scriverne e raccontare il mio punto di vista, quello di uno studente universitario ormai all’ultimo anno di Giurisprudenza. A diciannove anni probabilmente sarà terminato il liceo con la prova di maturità. Ma, con ancora più probabilità, non si avrà la maturità tanto ricercata che solo il tempo può dare.
Le scelte universitarie, spesso, sono dettate dalla più sana incoscienza, dal volersi mettere in gioco senza troppe aspettative e vedere dove porta il percorso. Percorso che, in Italia, é particolarmente duro, ostile e facilmente può gettare in un buco dal quale è difficile scorgere la luce. Cosa può spingere una ragazza a compiere il gesto più estremo di tutti?
A scrivere una lettera d’addio in cui si scusa “per i suoi fallimenti”? Che ruolo e che peso hanno la società, i valori di oggi e i media in tutta questa vicenda? Sono all’ordine del giorno le storie di ragazzi neolaureati con il massimo dei voti e con sempre meno età. I loro nomi sono spiattellati in ogni pagina di giornale, serviti su un piatto d’argento e decorati con frasi di elogio e ammirazione. Storie di vita certamente lodevoli, ma che -a conti fatti- dovrebbero far bene alla persona, arricchirla, ma non interessare agli altri così tanto da dedicarne un pezzo.
Il percorso universitario é talmente personale da non poter essere paragonato a quello di nessun altro. Meritevole di essere analizzato solo da chi, quel percorso, lo sta vivendo. Da quando ho iniziato il mio Erasmus ho compreso come l’approccio al mondo universitario in Spagna sia diverso rispetto a quello a cui siamo abituati in Italia. Sarò generalista ma il livello di spensieratezza che si raggiunge in Spagna non l’ho mai visto da nessun’altra parte. Ed in molti confonderanno spensieratezza con superficialità. É vero, in Italia si studia di più, le università formano studenti nettamente più preparati rispetto ai coetanei spagnoli, ma con carenze dal punto di vista pratico evidenti -parlo sotto il profilo degli studi del diritto- e con pressioni sociali ancora maggiori.
Non dimenticherò mai l’ultimo giorno di corsi in Spagna quando il mio professore disse come in lui ci si potesse aspettare di più di un semplice insegnante, ma un’amico con il quale confidarsi e poter parlare liberamente; e di come bisognasse vivere con più serenità gli anni universitari perché si collezionano momenti che non tornano più indietro, rispetto ad un futuro sempre più incerto e -quello sí- fatto di sacrifici ben maggiori. Discorsi che, nelle omologhe sedi Nazionali -parlando delle Universitá Statali- non ho mai sentito affrontare da nessun professore.
In Spagna il voto agli esami non conta a nulla, dalla promozione in su é tutto un successo. Il valore di una persona la si dimostra solo successivamente, sul campo, con i concorsi e le abilitazioni. Quando ho provato a chiedere ad un professore se fosse possibile, in caso di non soddisfacimento personale del voto ottenuto, sostenere nuovamente l’esame per ambire ad un voto più alto quest’ultimo mi ha guardato sconvolto, quasi come se gli avessi chiesto 100.000€ in contanti al momento. “Una volta superato l’esame il computer cancella automaticamente dalla lista di persone che possono sostenerlo nuovamente.
La ripetizione di un’esame é prevista solo per chi quell’esame non lo supera.” Queste sono state le sue parole. E i ragazzi arrivano in Università con aria diversa, più serena, con più tranquillità. Non c’è competizione perché si è tutti sulla stessa barca, né invidia per il percorso altrui. L’educazione al successo personale é certamente presente ma senza mai alcun riferimento al voto. L’intelligenza emotiva di ognuno di noi dovrebbe cogliere queste diversità ed applicarle al modo di vivere di tutti i giorni.
Perché é effettivamente così: un voto non vale una vita. Cadere non vuol dire fallire ma imparare. Eppure noi siamo così influenzati dal giudizio altrui, dalle aspettative dei nostri genitori e della società da perdere di vista il fulcro di tutto che siamo e resteremo per sempre noi stessi, con il nostro percorso e le nostre attitudini. L’università non è una gabbia né tantomeno costituisce obbligo morale frequentarla. Educhiamoci al rispetto degli altri, al fallimento e alle riprese. Alle cadute che aiutano a rialzarci. Alle parole gentili. Quelle stesse che, magari, la protagonista del terribile gesto non ha ricevuto, o le ha ricevute troppo tardi.