Accuse a parte, va precisato che il tanto contestato Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) altro non è che un escamotage nato allorquando vennero siglati i trattati europei ed i Paesi del Nord chiesero di inserire l’art. 123 che vietava l’aiuto agli Stati membri in difficoltà economica. Il timore dei Paesi economicamente più solidi era, infatti, quello che i cugini più deboli non cercassero di migliorarsi, ma scaricassero i loro debiti sui cittadini europei virtuosi.
Quando, però, nel 2010-2011 la crisi mise in ginocchio Italia, Portogallo, Spagna, Grecia e Irlanda venne istituito il Fondo europeo di stabilità finanziaria: una società di diritto lussembrughese che poteva prestare denaro ai Paesi membri o acquistare i loro titoli di Stato a interessi più bassi rispetto a quelli praticati dal mercato finanziario. Con il tempo ed il perdurare della crisi, questo meccanismo si è evoluto nell’attuale Mes e cioè un’organizzazione internazionale con obiettivi similari al vecchio Fondo europeo.
Alla data odierna tutti sono d’accordo che il Mes debba comunque essere riformato. Si teme infatti che un fondo di garanzia indipendente con compiti di pubblica utilità, relative immunità e garanzie di riservatezza possa trasformarsi in un soggetto speculativo. Inoltre va considerata la questione di sovrapposizione di competenze con la BCE in rapporto di proprietà col MES quale ente regolatore del settore bancario, oltreché unico soggetto avente strumenti per essere un cd. “prestatore di ultima istanza”.
In conclusione pare arduo – a giudizio di chi scrive – una riapertura da parte dell’Italia di un nuovo dibattito sulla riforma del Mes, anche perché il compromesso tra i Paesi membri è già stato trovato dopo molti mesi di trattative; ció non toglie, tuttavia, che un breve rinvio possa essere accordato per modifiche alquanto lievi e di carattere non strutturale.