di Maria Rusolo
“Ho sempre amato la vita. Chi ama la vita non riesce mai ad adeguarsi, subire, farsi comandare. Chi ama la vita è sempre con il fucile alla finestra per difendere la vita…Un essere umano che si adegua, che subisce, che si fa comandare, non è un essere umano”.
Nessuna pagina bianca mi ha mai creato tanta soggezione, non ho mai difficoltà a raccogliere i pensieri provando a dare loro una qualche forma, qualche volta riesco meglio, qualche volta, come King, ( lo dico senza la minima intenzione di paragonarmi al sommo genio), si comprende dove voglio arrivare, dopo un bel po’, ma avendo sempre cercato con le parole di esprimere la mia visione del mondo, di quello che sogno e vorrei, riesco a tratteggiare una idea, una immagine.
A volte mi rendo conto di disturbare i benpensanti, a volte, si coglie nella mia scrittura un mezzo per colpire una certa borghesia intellettualoide sopita nel proprio spazio, altre volte la critica alla classe dirigente pigra è anche piuttosto dura, ma credetemi mai come in questo momento faccio così fatica ad esprimere quello che sento.
Un nome mi corrode la pelle da giorni, mi rimbomba nella testa, senza darmi tregua, il viso pallido di una adolescente, che ha come unica colpa quella di voler essere libera di seguire la propria strada. Vorrei non usare neanche il suo nome, e non perché voglia spersonalizzarla, o privarla della propria identità, ma semplicemente, perché non so neanche se in quel nome lei si sentisse, completamente a suo agio, se lo sentisse assolutamente proprio.
Quegli occhi penetranti di una bambina, costretta a confrontarsi con un mondo tanto più grande, che l’ ha rifiutata, l’ha schiacciata, l’ha privata dei suoi trucchi e delle sue speranze. Forse come tutte le donne avrebbe solo voluto dormire nel letto della propria stanza, circondata dai libri che le piacevano, con un piccolo orsetto a farle compagnia, avrebbe voluto sognare guardando la notte che avvolge e stravolge la luce del giorno, e scaccia la calura di una estate afosa, avrebbe voluto vedere il mondo, con le sue bellezze, ballando a piedi nudi sulla spiaggia, dinanzi ad un falò con gli amici.
Lei è in questo momento milioni di donne che ancora si coprono con un velo il capo, lei è milioni di donne, destinate da una società patriarcale al silenzio ed all’accudimento di un uomo che non hanno scelto, lei è in quelle milioni di donne, che non hanno scampo, e che non hanno la forza e la possibilità di fuggire ad un destino, o di sottrarsi ad un finale che non hanno scelto, lei è in quelle donne che in nome della libertà, bambine preferiscono la morte, a qualunque imposizione. Sono tantissime, siamo tantissime.
Vorrei sfuggire dall’idea, che questo modo di pensare il ruolo della donna, appartenga solo ad una parte della società, ad un contesto territoriale, culturale o sia il frutto di una precisa visione religiosa. Non mi interessa cosa dica in proposito la comunità cristiana o quella islamica, non mi interessa, trovare giustificazioni, o attenuanti storiche.
Potrei farlo, ma a mio avviso sarebbe un modo sbagliato di approcciarsi al problema, e sapete perché? Perché in qualunque direzione io guardi, per me non esistono innocenti o colpevoli, ma tutti siamo responsabili. Responsabili, nella misura in cui lasciamo che certe cose siano un fatto privato, nel quale nessuno possa mettere bocca.
Non mi colpisce che le donne di sinistra non spendano una parola su certi accadimenti, non mi colpisce che chi milita a destra lo faccia con lo scopo di stigmatizzare una certa cultura, mi colpisce invece che nessuno dica, che ad ogni latitudine, le donne, le femministe, abbiano messo da parte la capacità di lottare per i diritti, per le tutele, per la protezione di esseri umani, fragili, soli, spaventati.
Una vuota retorica, che si concretizza in post sui social o dichiarazioni rese ai giornali in occasioni di un fatto di cronaca, mentre le donne pagano con la pelle, ogni rivendicazione, ogni sussulto di libertà ed ogni voglia di fuga. Leggi, carteggi, circolari, tavoli e poltrone a cosa hanno condotto in questi ultimi vent’anni, se non all’uso ed al consumo del corpo delle donne come un feticcio per consolidare potere, e per campagne elettorali.
La realtà che ci circonda continua a non essere declinata per la parità, e l’abuso diventa quasi un elemento necessario di una guerra tra esseri umani, che inevitabilmente lascia delle vittime da sacrificare in pubblica piazza. Di silenzio si muore, ma si muore ovunque, a Messina, a Milano, in Pakistan, a Parigi, e la contrapposizione ideologica non serve che ad alimentare ancora di più uno scontro tra fratelli e sorelle che non serve a nessuno.
E nel frattempo una bambina, una giovane donna, una madre, una sorella, domani non potrà assaporare un caffè sentendosi completamente ed assolutamente un essere umano libero alla ricerca di una felicità, smarrita ma non del tutto perduta. Ed allora io avrei voluto solo sentire delle scuse, avrei voluto che qualcuno chiedesse perdono, ed allora lo faccio io, stavolta usando il suo nome, scusami Saman, scusaci, per non aver capito, per non aver ascoltato. Scusaci, proveremo ad essere da oggi migliori di quanto siamo stati sino ad oggi.
Se Dio ha creato qualcosa di più bello delle donne deve esserselo tenuto per sé.