In principio furono le cosiddette prezzemoline. Che però, rispetto agli attuali sedanoni, avevano almeno la caratteristica di essere gradevoli alla vista con le loro lunghe leve scosciate e gli invidiabili decoltè.
Queste cape di accio (dal latino apium graveolens, nome scientifico del sedano, pianta spontanea che cresceva lungo l’antica via Appia, da cui appunto “Accio”), ormai abbondano in ogni trasmissione televisiva. Giornalisti, opinionisti o fancazzisti? Non si capisce bene a che titolo vengono invitati ( dietro corresponsione di lauto gettone di presenza) in trasmissioni dove si discute indifferentemente di ogni conoscenza dello scibile umano, dalla politica allo sport, dall’economia al cinema, dalla letteratura alla medicina nucleare, e chi più ne ha più ne metta.
Essi potrebbero interloquire, ritenendosi e ponendosi da pari a pari, di fisica con Enrico Fermi, di astronomia con Margherita Hack, di astrologia con Branco e di come si indirizza una partita decisiva per lo scudetto e ormai irrimediabilmente persa, con Orsato. Tutti maestri nelle loro specifiche competenze. Capostipiti di tale tipologia umana rispondono ai nomi di Mughini e Cruciani, che alle già citate e note caratteristiche, aggiungono una innata dose di antipatia intrinseca del soggetto. Sbraitano, urlano, offendono impunemente chiunque la pensi ( si fa per dire) in modo diverso da loro.
Sparano cazzate a raffica con la loro indubbia eloquenza, almeno quella, senza che nessuno possa mettere fine alla loro protervia. Ultimamente un altro esemplare di questa fauna ha cominciato a fare timidamente capolino in questa giungla di banalità: Lucatelese (unaparola), fulminato sula via di Damasco, anche se sembra dare l’impressione di essersi fermato al bivio Salvini-Di Maio, imboccando di volta in volta la strada che più gli si addice (e gli conviene).
L’ho sentito diverse volte paragonare i cosiddetti minibot, che i leghisti, con l’usuale silenzio-assenso degli alleati contrattuali, ormai usciti apertamente allo scoperto, vorrebbero utilizzare come surrogati dell’euro, con i mini assegni in uso verso la metà degli anni ’70, o con i BTP che, sempre negli anni ’70, furono usati per pagare una quota della contingenza “congelata”. A Milano direbbero “Offelè (pasticciere) fa el to mestié! Noi a Napoli, molto più prosaicamente diciamo “Si nun sai fa ‘o scarparo, pecché rump’o cazzo ‘e semmenzelle?”.
I mini assegni furono una felice e legalissima intuizione per sopperire alla carenza di moneta spicciola. In alcune città, le monete da cento lire erano state sostituite con i biglietti del tram, di medesimo valore. Le banche corrispondevano il 10% di “aggio” a chi versava un minimo di centomila lire in monetine. I mini assegni erano “mini” sia per il loro ridotto formato, sia per il valore nominale di ognuno di essi. In genere 50, 100 o al massimo 200 lire.
Ma erano degli assegni circolari a tutti gli effetti. Cioè assegni a copertura garantita, dove qualcuno (in genere associazioni di commercianti o simili) avevano versato nelle casse delle banche le corrispettive cifre per richiederne l’emissione. A volte erano delle grosse catene commerciali o grandi ditte (mi ricordo della Invernizzi), che in più ci guadagnavano la pubblicità gratuita, poiché il loro logo circolava in quanto impresso sia sul frontespizio, come intestatario dell’assegno, sia sul verso, come prima girata dell’assegno stesso. Le banche ci guadagnavano gli interessi, perché tra la emissione e la loro estinzione passavano mesi, se non anni. E molti miniassegni, finiti nelle mani dei collezionisti, non sono stati mai più convertiti in denaro liquido, con sommo piacere della banca emittente.
Quando i mini assegni si deterioravano, oppure perché qualcuno ne aveva accumulato troppi, si potevano negoziare regolarmente in banca apponendo la firma sul verso come ultimo girante. Paragonare poi i minibot con i BTP con i quali fu sostituita la parte di contingenza congelata, è la più grossa cazzata mai sentita da quando l’uomo ha inventato mezzi di comunicazione (e di distrazione) di massa. I BTP avevano una scadenza ben definita, e fruttavano un interesse altissimo, pur paragonato ai già alti tassi di interesse in vigore all’epoca.
Portavano allegato le cedole a scadenza semestrale che bastava staccare ed incassare in qualsiasi banca. Tanto che nel giro di breve tempo divennero oggetto di un vero e proprio mercato parallelo: chi aveva bisogno di monetizzare vendeva (addirittura anche a prezzo maggiorato), a chi intendeva accumulare un sicuro castelletto che poi avrebbe trasformato in liquido a breve scadenza, di cui onestamente non ricordo bene i termini, ma mi pare che non superasse i tre o i cinque anni.
Se i Lucatelese (unaparola) di turno si informassero di quello che stanno parlando, senza sparare cazzate a raffica, pericolosamente ad alzo zero,, forse ne guadagneremmo un poco tutti. Anche se loro , e quelli come loro, dovrebbero rinunciare a qualche gettone di presenza, o iscriversi a un corso per “navigator” per tentare di sbarcare il lunario. Oppure richiedere il RdC.