di Christian Sanna
C’è poco da discutere: il Napoli ha meritato lo scudetto dimostrando nei confronti degli avversari una superiorità netta di gioco, idee, tenuta fisica e mentale. Questo campionato vale quattro cinque sei forse sette scudetti vinti da chi è abituato a vincere. Lo dice la storia, la bacheca. Tutto il resto sono chiacchiere da bar anche necessarie, perchè il giuoco del calcio si nutre di passione, sfottò, polemiche, opinioni.
In fondo, se si levano di torno le statistiche, ognuno vede una partita di calcio a modo suo e funziona un pò come con le elezioni; chi vince festeggia e chi perde spiega, solo che chi perde va poi in televisione a spiegare (neanche tanto bene) che anche se si è perso non si esce sconfitti. Insomma, un pò come nella vita quando nelle relazioni umane si pensa di aver dato di più rispetto all’altro ricevendo molto meno e il bilancio fra dare e avere segna un profondo rosso a proprio sfavore.
Il Napoli ha dimostrato di essere la squadra più forte e costante, perchè ho la certezza che la solidità di una squadra la si veda nella maratona del campionato e non nei 100 metri delle coppe europee dove la differenza la fanno i dettagli come gli infortuni, un gol sbagliato a cui segue quasi sempre il gol subito, la fortuna, l’errore arbitrale, l’emotività di un appuntamento che scotta.
Il Napoli ha vinto meritatamente ribaltando i pronostici della vigilia di campionato dove la quasi totalità della stampa scriveva che non si sarebbe qualificato neanche per la Champions League per poi correggere parzialmente il tiro fino all’elogio dell’illogicità o al tripudio della speranza di chi tifa per altri, cioè riabilitare chi viaggiava a distanza di quindici o venti punti, costruendo addosso a queste squadre una veste di pericolosità che in tutto l’anno non hanno mai avuto, perchè sia chiaro nessuno è mai davvero riuscito ad impensierire questo Napoli.
Io interista fino al midollo, perdutamente innamorato di una squadra pazza e capace di tutto, rendo onore al Napoli riconoscendone i meriti che altri tifosi per invidia, insicurezza o incapacità di uno stalcio di sportività non riescono a riconoscere e mi auguro che domenica alla prossima giornata di campionato gli azzurri vincano la partita e che l’Internazionale faccia un favore al Napoli e a se stessa battendo la Lazio e consegnando ufficialmente il tricolore alla squadra che sul campo si è dimostrata più brava, pronta, feroce.
Da spettatore curioso osserverò come si svolgeranno i festeggiamenti e sarò felice per i miei amici che aspettano questo scudetto da troppi anni, perchè quando si vuol bene a qualcuno si desidera sempre la felicità dell’altro ed un campionato vinto di certo non risolverà i problemi ma riempirà di gioia tanti cuori. Però voglio che sia chiaro un concetto semplice semplice: il calcio è una passione, una dolce malattia che uno si porta da bambino per tutta la vita. Non facciamone una questione territoriale. Si può amare visceralmente la città di Napoli e patire una passione folle per L’Inter o per qualsiasi altra squadra. Come in amore se sei fortunato incontri la donna del tuo destino, così ho trovato nell’Inter quelle caratteristiche che la fanno essere così vicina al mio cuore. Gianni Brera scrisse L’Inter è squadra femmina, quindi passionale, volubile, e pertanto agli antipodi del pragmatismo che caratterizza la Juventus.
Ed io avvicinandomi all’Inter ho incontrato calcisticamente la donna della mia vita; nelle vittorie e nelle sconfitte, nella gioia e nel “dolore” sono ancora curioso di vedere fin dove questa squadra così lunatica trascinerà il mio cuore, stressato dai gol sbagliati a porta vuota e dalle sviste arbitrali, dalle partite che sembravano vinte dove in cinque minuti si è perso tutto e dalle imprese memorabili, da un triplete irripetibile e da un 5 maggio da cui non mi sono mai davvero ripreso. Amo l’Inter e la vorrei vedere in finale di Champions per scrivere un’altra unica pagina di storia; la dolce anomalia di chi è brutta e sciatta di giorno e poi si veste provocante la sera e ti fa innamorare nelle notti di coppa.
Se Albert Camus sosteneva che Non c’è un altro posto del mondo dove l’uomo è più felice che in uno stadio di calcio e Jorge Luis Borges diceva che Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la storia del calcio – vuol dire che siamo di fronte ad un gioco che oltrepassa se stesso e diventa qualcosa di incredibilmente serio, tanto da “condizionare” la vita modulando l’umore del tifoso.
Da interista faccio i complimeti al Napoli e mi auguro che questo scudetto smuova qualcosa perchè questa squadra è lo stato d’animo di un popolo fiero che da troppo tempo aspetta di festeggiare e di alzare al cielo una coppa che avrebbe certamente meritato di vincere almeno una o due volte nei campionati precedenti.
Basta una vittoria, una partita di calcio per essere felici? Penso di si. Io stesso, quando ho voglia di ritornare bambino e provare quella gioia spensierata e totalizzante, prima di addormentarmi chiudo gli occhi e trattengo il respiro. Sogno di indossare la maglia nerazzurra e di segnare il gol decisivo al Real Madrid dopo una fuga sulla sinistra dove dribblo mezzo mondo e forse persino me stesso per depositare a porta vuota tutto il carico della mia felicità.