di Mario Aiello
Il grande stand-up comedian newyorchese George Carlin ci ha sempre raccontato che le categorie professionali, di concetto, altro non sono che lo specchio della società in cui proliferano. Il riferimento e agli uomini e alle donne che le costituiscono. Sebbene egli puntasse il dito verso i politici, il discorso si può estendere per transitività ad operai, medici, dipendenti pubblici, avvocati e anche ai giornalisti.
Se un esponente di quella categoria è nato, cresciuto, formato e costruito in un determinato contesto, lo rappresenta pienamente, in bene o in male. Coloro che appartengono a quel quadro non potrebbero formalmente dissociarsi. In breve: non è che se fa bene è un santo del popolo, mentre se fa male è un alieno venuto da chissà dove, immeritevole di tali fortune (rispetto alla carriera politica secondo Carlin, ma, come sopra, funziona per chiunque). Vale pure il viceversa, inutile sottolinearlo.
Questa dunque la premessa.
Facebook è un enorme news feed. Di dubbia natura, ovvio, ma restituisce comunque uno spaccato reale di chi si cela dietro il profilo. Al netto delle sofisticazioni: il 99,99% chi scrive idiozie è un idiota; il saggio tace, il narciso edifica sul proprio ego; il furbo fa propaganda o fa l’influencer; eccetera, eccetera. Che sia un mezzo discutibile per veicolare opinioni di massa è sotto gli occhi di tutti, ma questa è una faccenda molto più seria da affrontare così, come durante una chiacchierata al bar. Tuttavia la platea resta platea, rispettando il ruolo di Matrioska che in qualche modo raggiunge tutti noi che ci affacciamo sull’universo social. Da qui non si fugge.
Questa la premessa della premessa, quindi.
Nello specifico su un famoso gruppo di giornalisti, in cui sono presenti tantissimi professionisti e pubblicisti, ho riscontrato in tutto e per tutto il pensiero satirico e disarmante del buon George Carlin.
In poche parole un iscritto, che non abbiamo la certezza essere giornalista, posta quanto segue in immagine.
Facendo lo slalom tra l’italiano incerto e l’inconcludenza del gesto, la suddetta persona è stata riempita con decine di insulti, più o meno velati, riportati da altrettanti giornalisti o presunti tali (ripeto, non si può dire con assoluta certezza se gli iscritti siano regolarmente iscritti all’albo). Il dato è singolare, mi sono chiesto: dei non giornalisti perché dovrebbero iscriversi in un gruppo del genere e fare la morale a dritta e a manca? A sentimento dico che lo sono.
Vagonate di letame, alcune davvero esposte in modo signorile ed elegante a onore del vero, solo perché questa persona ha manifestato il suo disappunto verso i giornalisti sgraziati che non pagano la retta all’ordine di riferimento ed eludono l’obbligo dei corsi formativi imposti per legge.
Nessuno che abbia chiesto: “collega, come mai questa tua esternazione? Cosa è successo? Hai dei casi da raccontare? Ti sei trovato testimone di fatti che vale la pena segnalare?”. Il silenzio, in tal senso. Dovrebbe essere il nostro lavoro approfondire, prima di decretare che un fatto sia vero e di conseguenza meritevole (o meno) di essere comunicato, dopo aver verificato le fonti.
Eppure lo sventurato utente ha comunque rispolverato un arcinoto problema. Un problema tanto conosciuto che io l’ho compreso sin da subito, e sono un pubblicista da scuola materna. Non scopriamo l’acqua calda, ma il confronto poteva e doveva evolvere diversamente. Non era il gruppo “sei di Bugliano se…”. Bugliano è un comune inventato divenuto famoso proprio sui social.
Al corso di deontologia il bravissimo docente e giornalista Michele Partipilo insegna che il giornalista è giornalista sempre, anche quando porta il cane a spasso. Come mai in un gruppo di giornalisti, credo il più grande collettivo in termini numerici esistente su Facebook, nessuno ha posto le poche domande che, forse, andavano fatte? Ebbene Carlin evidentemente aveva ragione, siamo il prodotto di un contesto avvizzito e ripiegato non sulla deformazione professionale (positiva), ma sul sensazionalismo social (questo lo deduco io, Geroge Carlin non c’entra più). Invece di chiedere chi, come, quando e perché ci facciamo prendere la mano per un “paga to” e “all ordine”. Come fossero dei “ha me mi fa male alla testa” o un “qual’è” sbandierati all’Accademia della Crusca.
Il post, comunque poco edificante, è stato poi rimosso per sollecitudine degli amministratori, immagino, e per buona pace dei tanti che hanno vissuto attimi di puro “cringe” (come amano chiamare il fastidio i nuovi giovani 3.0) lasciandosi a commenti che “perplimono” direbbe un altro satirico di livello, italiano stavolta, lo sferzante Corrado Guzzanti.
C’è qualquadra che non cosa. Ora radiatemi.