di Rosario Pesce
Crisi sì o no?
Questa è la domanda che si pongono moltissimi Italiani, viste le fibrillazioni degli ultimi mesi all’interno della compagine governativa.
È ovvio che l’instabilità non è un elemento virtuoso della democrazia, ma il nostro sistema istituzionale da oltre venti anni è abituato a vivere condizioni prolungate di incertezza, a fronte – invece – dei cinquant’anni precedenti nel corso dei quali si è vissuto un lunghissimo periodo di relativa stabilità.
Gli elementi, che determinano una simile condizione, sono molteplici: alcuni sono di sistema, come si dice in gergo, mentre altri sono imputabili a cause apparentemente transitorie.
In primis, è la stessa democrazia parlamentare che reca con sé un fattore di precarietà, visto che il Parlamento per definizione è il luogo al cui interno le maggioranze si fanno e si disfano in maniera frequente.
Ma, la causa principale è da ricercare in un elemento di natura storica: il crollo dei partiti del Novecento, verificatosi per effetto di Tangentopoli nel biennio 1992/94, ha determinato una condizione di eccessiva fluidità del consenso, che ha indotto negli ultimi venti anni la nascita e la morte di molti movimenti politici, destinati in alcuni casi all’oblio.
Non è un caso se nessuno dei partiti del Novecento della Prima Repubblica vanta rappresentanti nell’odierno Parlamento, mentre fra quelli della Seconda Repubblica, visto lo scioglimento di Forza Italia, solo la Lega è presente fra gli scranni di Montecitorio e di Palazzo Madama, peraltro con un potere contrattuale enorme.
Tutti gli altri partiti o movimenti – PD, M5S, Fratelli d’Italia – sono nati nel XXI secolo, in questo scorcio di nuovo millennio, per cui il più vecchio di questi ha non più di un decennio di vita.
Ed, allora, la domanda consegue in modo ovvio: forse, l’aver mandato in soffitta le formazioni, che erano il frutto dell’elaborazione scientifica ed ideale dei pensatori dell’Ottocento e del Novecento, ha determinato non solo la delegittimazione della politica tout court, ma anche il quadro odierno di instabilità delle istituzioni, che non fa bene invero ad un Paese, come il nostro, che ha perso molta forza ed autorevolezza sui mercati internazionali?
Ed, allora, la crisi è politica prima ancora che di sistema?
Certo è che, procedendo lungo questo percorso avviato all’indomani di Tangentopoli, si rischia di cestinare la democrazia, cioè il valore supremo che abbiamo ereditato dalle lotte partigiane dei nostri nonni e che noi, generazioni successive, abbiamo dimostrato di non saper custodire adeguatamente, visti i pessimi risultati dell’ultimo ventennio.