“Gli pigliò la mano per salutarlo. Non s’aspettava il modo in cui lei gliela strinse: fu come se gli avesse arravugliato attorno alle dita non la sola mano ma il suo corpo intero e come la manodell’uomo, diventata un’altra cosa, fosse entrata nel dentro più dentro di lei, fino alla sua noce di fìmmina.”
Non vorrei qualcuno pensasse che mi sia decisa a scrivere di Camilleri, perché in qualche modo lo consideri qualcuno, e non un qualcuno qualunque, che ha già finito di lasciare storie ed immagini in questo confuso mondo terreno, così spaventato e confuso; al contrario, la mia è la voglia di raccontare come ho sempre vissuto la penna di questo straordinario uomo ed intellettuale, che potrebbe tranquillamente essere il suo Montalbano, che tanto celebre lo ha reso nel mondo.
Tanto per cominciare il mio approccio alla sua opera è stato piuttosto causale, e risale a moltissimi anni fa. Credo di aver avuto poco più di vent’anni e da quel momento non ho più smesso di leggere tutto quanto uscisse dalla sua meravigliosa mente, capace di trasfigurare la realtà nel caldo assolato della Sicilia, in luoghi al margine tra il reale e la fantasia.
Credo di aver letto solo poche righe di quel libro e di essere stata risucchiata dalle pagine ad una velocità straordinaria, tanto dall’esserne stordita, proprio come accade con un colpo di fulmine. Amore a prima vista. Per cui come accade quando si è preda di Eros spesso si perde anche un po’ della propria obiettività, un po’ di quella capacità di critica che anima tutti i lettori incalliti, tutti i divoratori seriali di pagine e di scrittura. Non ho mai trovato nulla che non mi fosse vicino, dalla descrizione dei paesaggi, dagli intrecci del giallo, che non è proprio un genere Italiano, ma che è sempre calcolato al secondo e che non ha in se’ nessuna sbavatura o incongruenza.
La storia abbraccia il protagonista, che con le sue caratteristiche finisce per condizionarne gli esiti, le dinamiche, è come se la storia fosse nei piedi e nelle carte che occupano la scrivania dell’anomalo Commissario, nelle lunghe bracciate in mare, nell’odore della notte, o in un covo di vipere, o nella forma che l’acqua assume.
Il silenzio che avvolge lo sguardo dell’autore mentre guarda e vive la propria terra ed il proprio Paese è carico di parole e di significati, che spillano la pelle abbronzata del lettore e di chi si perde nel fumo della sigaretta di Camilleri. Non voglio distinguere personaggio ed autore, non ci riesco, e non credo voglia neanche lui, negli anni infatti il senso della giustizia che pervade il Montalbano che si avvia verso l’età della maturità è sempre più quello del suo creatore, un senso di equa giustizia che passa attraverso la comprensione dei comportamenti umani, delle ragioni che spingono gli individui ad agire in una direzione precisa, senza mai voltarsi indietro.
Sembra quasi che non sia interessato alla punizione, alla pena nel senso classico del termine, quello che lo incuriosisce, quello che lo spinge verso la ricerca della verità è la causa, la motivazione, ciò che tutti hanno davanti agli occhi ed in un modo o nell’altro si rifiutano di vedere. Ed intorno a questo, che si compie il suo cammino sulle spiagge, o lungo le strade piene di polvere, desolate ed isolate, spinto da una curiosità che lo divora e che abita le sue notti piene di sogni.
Ed intorno, la natura che lo riconcilia con quel male oscuro che abita ciascuno di noi, che abita gli insospettabili, e dinanzi al quale non si può arretrare di un passo. Lo si deve guardare dritto negli occhi, comprenderlo, anche accettarlo per andare oltre alla ricerca nelle onde del giusto refrigerio dell’animo umano.
” Arriva un
momento nel quale t’adduni, t’accorgi che la tua
vita è cangiata. Fatti impercettibili si sono accumulati fino a determinare la svolta. O macari fatti ben visibili, di cui però non hai calcolato la portata, le conseguenze.”