Ciro Esposito è stato ucciso, di nuovo.
Per l’ennesima volta, stavolta nell’aula della Corte d’Appello, è stato reiterato il reato più grave.
E non tanto perché la pena del suo assassino è stata ridotta di 10 anni, ma per la motivazione che ha indotto a tale riduzione.
L’omicidio di Ciro Esposito è stato definito una “bravata”.
Ora, i Napoletani vengono sempre accusati di fare vittimismo, di piangersi addosso, e in alcune circostanze questo è anche vero.
Ma definire bravata l’assassinio di un ragazzo di 31 anni è un insulto alla dignità e all’intelligenza degli esseri umani. Come se fossimo incapaci di intendere e di volere, dovremmo far finta di non capire che un napoletano in meno non fa né caldo né freddo a questa società.
Dovremmo fingere di non vedere che la scritta che campeggia in ogni tribunale “La legge è uguale per tutti” è soltanto una bugia raccontata a tutti per far credere che la giustizia funzioni davvero.
Orwell ce l’ha insegnato anni fa che “tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”.
Eppure ancora ci sorprendiamo.
In un paese civile, in un mondo semplicemente corretto, una persona così coraggiosa da paragonare un omicidio ad una bravata, sarebbe rimossa in un istante dal suo incarico, e, fosse per il sottoscritto, sarebbe lui a farsi i 10 anni di galera ridotti dalla pena di De Santis.
Un ragazzino che ruba le caramelle in un supermercato.
Un ragazzo che entra allo stadio senza pagare.
Queste sono bravate.
Eppure, alla prima occasione, partono i processi mediatici a reti unificate contro i Napoletani che passano in due nei tornelli.
Vengono trasmessi speciali di ore ed ore sull’identità degli Ultras che addirittura si erano permessi di chiedere la sospensione della partita in quel nefasto 3 Maggio 2014.
Poi, un Napoletano viene ucciso, e tutto viene archiviato con la parola “bravata”.
Credete davvero di poterci prendere in giro così?
Ci fate schifo, dal primo all’ultimo.
Queste “bravate” non le avete mai subite, per questo vi permettete di parlarne con tanta leggerezza.
Intanto, un ragazzo di 31 anni ha perso la vita.
Ma a questo nessuno ci pensa davvero.
Non possiamo far altro che stringerci attorno alla famiglia di Ciro, alla madre Antonella Leardi, una guerriera vera, e sperare con lei che quella famosa frase che campeggia nei tribunali e che non ha mai riscontro né coerenza in questa vita, sia valida in un mondo diverso da questo.
Al giudizio divino non potrete sottrarvi.