Si è concluso nella serata di ieri, dopo cinque giorni intensi e ricchi di appuntamenti, il viaggio di Papa Francesco in Messico. Un viaggio cominciato dopo la tappa all’aeroporto di l’Avana per l’abbraccio con il patriarca Russo Kirill, un incontro che le chiese cristiane d’Oriente e di Occidente aspettavano da più di mille anni.
Una visita pastorale, quella in Messico, dalla forte valenza spirituale, ma non solo. Un giro nelle periferie del mondo, nei luoghi più abbandonati del pianeta, tra la gente più povera ed umile. Quella gente, insomma, che non fa rumore e per la quale ci si indigna ancora troppo poco, nel mondo intero. Ed è proprio questa gente che lo ha accompagnato nelle varie tappe di questo viaggio, con gioia ed entusiasmo, quasi a dare a tutti noi un esempio concreto di quella “affetto- terapia” di cui in terra messicana ha parlato lo stesso Pontefice. “E’ un nostro amico, un nostro fratello. E’ il Papa di cui ha bisogno il popolo”, queste la frasi ripetute da centinaia di fedeli che si sono spostati anche con mezzi di fortuna e per decine e decine di chilometri pur di vedere anche solo un istante il loro pastore. Il richiamo a Giovanni Paolo II, il Papa che ha visitato cinque volte il Messico, è tornato più volte nei pensieri della gente, cosi come spesso testimoniato con la diretta di questi giorni trasmessa dalla Radio Vaticana : “E’ una grande emozione – ha raccontato una donna del Chiapas – 25 anni fa ho partecipato alla visita di Giovanni Paolo II e adesso a quella di Papa Francesco. Siamo felici, siamo molto contenti per il suo modo di essere: per la sua umiltà, per la sua misericordia, che è quello di cui abbiamo bisogno. Stanno guadagnando troppo terreno, infatti, la vanità, la ricchezza e c’è troppa povertà. Qui c’è una grande povertà, molte ristrettezze, molte mancanze. Quindi, ci piace che lui promuova questa umiltà, la misericordia, la vicinanza a Dio, che è l’unico che ci salva”.
“Ci siamo alzati molto presto per venire a vedere il Papa – ha detto una ragazza – Credo che quello che più conta qui è la volontà di ciascuno. Non ci stanno pagando, prestiamo un servizio, e stiamo sotto il sole, abbiamo fame, ma vogliamo vedere il Papa”.
Migliaia di fedeli ad attendere Papa Bergoglio già dal suo arrivo in aeroporto, con suoni, musiche e danze tipiche del popolo sudamericano, una grande testimonianza di una fede viva ma che scalda il cuore.
“Vengo come missionario di misericordia e di pace“, ha detto Bergoglio durante l’incontro con il Presidente Enrique Pena Nieto e le autorità della società civile. Poi ha definito il Messico un “grande Paese” e ha sottolineato : “Un futuro ricco di speranza si forgia in un presente fatto di uomini e donne giusti, onesti, capaci di impegnarsi per il bene comune, quel bene comune che in questo secolo ventunesimo non è molto apprezzato“. Forte il monito ai responsabili della società civile,politica ed anche religiosa del Paese: “Lavorare per offrire a tutti i cittadini l’opportunità di essere degni protagonisti del loro destino, nella famiglia e in tutti gli ambiti nei quali si sviluppa la socialità umana, aiutandoli a trovare un effettivo accesso ai beni materiali e spirituali indispensabili: abitazione adeguata, lavoro degno, alimentazione, giustizia reale, una sicurezza effettiva, un ambiente sano e pacifico”.
E ancora l’attesissima tappa con la Santa Messa al Santuario mariano di Guadalupe, che conta milioni di fedeli e pellegrini all’anno e la toccante visita all’ospedale pediatrico “Federico Gomez” di Città del Messico, uno dei più importanti del Paese. Bagno di folla tra la commozione degli operatori sanitari, dei genitori e dei piccoli degenti, dai quali il Papa, sempre con il sorriso sulle labbra, si è fatto toccare ed abbracciare. Tante le carezze e le parole di conforto che ha elargito ai piccoli ammalati, alcuni dei quali (tra cui due bambini con una grave forma di cancro) sono stati visitati da lui in forma privata.
Molto significativa la tappa, fortemente voluta da Bergoglio, in Chapas, lo Stato più povero del Messico, dove sono stati oltre 100 mila gli appartenenti alle comunità indigene ad attenderlo. Papa Francesco, con la semplicità disarmante che lo caratterizza, ha chiesto scusa a quei popoli, esclusi sistematicamente dalla civiltà e saccheggiati delle proprie terre. “Il mondo di oggi, spogliato dalla cultura dello scarto, ha bisogno di voi!“, ha aggiunto, tra lunghissimi applausi. Dalle periferie urbane alle periferie del mondo, il Papa che viene da lontano ha continuato e continua senza sosta a portare il suo messaggio di speranza. Tra le ultime tappe prima del rientro in Italia la visita al penitenziario “Cereso3”, dove ha incontrato 700 detenuti (dei circa 3000 presenti nella struttura). A loro ha rivolto parole di amore e misericordia: “Sappiamo che non si può tornare indietro, sappiamo che quel che è fatto è fatto; perciò ho voluto celebrare con voi il Giubileo della misericordia, poiché questo non significa che non ci sia la possibilità di scrivere una nuova storia d’ora in avanti. Ora vi può toccare la parte più dura, più difficile, ma lottate, impegnatevi fin da qui dentro a capovolgere le situazioni che generano ulteriore esclusione“. Ed infine la Santa Messa a Ciudad Juarez, a 80 km dal confine con gli Stati Uniti dove si è voluto avvicinare alla barriera in rete metallica per salutare, anche in maniera simbolica, chi è riuscito a passare dall’altra parte, nell’ “altro mondo”. Molto toccanti le immagini dell’arrivo del pontefice in questa città che negli ultimi decenni è stata martoriata dal narcotraffico, dalla violenza, e dal devastante fenomeno dei “desaparecidos”.
Innumerevoli e difficili anche soltanto da contare e notare, per quanto sono stati i numerosi, i gesti concreti di affetto e di vicinanza che Bergoglio ha voluto mostrare ai fedeli: ha stretto mani, ha ricevuto abbracci, ha indossato cappelli colorati, ha danzato, è corso in corso ai bambini e agli ammalati in carrozzella, ha rimproverato chi, strattonando gli altri, voleva avviicinarsi di più e in maniera esclusiva a lui. E’ sceso tra gli ultimi, tra coloro che solitamente vengono abbandonati a se stessi e alle loro misere condizioni. Ha lasciato un segno in terra sudamericana, un segno forte che il popolo del Messico attendeva da tempo e che difficilmente dimenticherà.