Fra la disperazione e la rassegnazione c’è un confine sottilissimo e allo stesso tempo invalicabile. Si chiama rabbia, indignazione, rivoluzione.
Negli occhi di Mimma Guardato ci si legge questo, e una motivata richiesta di giustizia e verità.
Mimma è la mamma di Fortuna Loffredo, per tutti quelli che la conoscevano Chicca. La storia di Chicca la conosciamo tutti, ed è una di quelle storie che nessuno vorrebbe mai raccontare. Una bimba di sei anni precipitata in circostanze misteriose dal settimo piano di uno dei padiglioni del rione IACP di Caivano, e – stando alle perizie dei medici legali – violata ripetutamente.
Ho incontrato la famiglia Guardato accompagnata da Bruno Mazza, che a poche centinaia di metri da quelle palazzine -vergognosamente fatiscenti, dove spazzatura e degrado fanno parte della quotidianità di chi è costretto a viverci- gestisce l’associazione “Un’infanzia da vivere”.
Il rione pullula di bambini, di tutte le età. Bambini ai quali il diritto all’infanzia, a un’infanzia serena e protetta, è ignorato e negato da istituzioni assenti e distratte.
Mimma vive, da quel maledetto giorno di giugno, l’incubo di chiunque abbia messo al mondo un figlio: oltre a non avere ancora risposte da dare a se stessa sulla morte della figlioletta, deve preoccuparsi di darne agli altri due bambini, vivendo con l’angoscia che gli accada qualcosa ogni volta che aprono la porta, ogni volta che escono sul balcone o che, come tutti i bambini, chiedono di andare a giocare nel viale.
“Leggo ogni giorno bugie di ogni genere sulla mia vicenda – si sfoga con gli occhi bassi, e quasi senza voce – e vorrei che si facesse luce al più presto su quello che è accaduto a Chicca per poter riposare, e far riposare in pace mia figlia. Ma di tutti i giornalisti che sono stati qui, nessuno si è mai preoccupato di chiedere come stanno gli altri miei due figli, se servisse loro qualcosa, o se io abbia la possibilità di crescerli dignitosamente”.
A Milano, probabilmente, una convivenza finita male, da cui sono nati due figli, e un terzo bimbo nato da una seconda relazione, non farebbero impressione a nessuno. In un contesto come questo, la nonna di Chicca sembra sentirsi in dovere di giustificare la figlia, quasi fosse una colpa non avere un compagno su cui poter contare.
Mimma ha un figlio di 10 anni, che per un trauma subito da piccolissimo, ha bisogno di terapie riabilitative, e un altro bimbo di 4 anni, che frequenta l’asilo. La cosa più vergognosa e sconvolgente è che né prima della tragedia di Chicca, né a maggior ragione dopo, hanno ricevuto alcun supporto dagli assistenti sociali di Caivano.
“Prima che morisse mia figlia, riuscivo a racimolare un po’ di soldi facendo dei lavoretti – continua Mimma – ma adesso non ce la faccio neppure ad uscire di casa. Mio figlio ha bisogno di essere accompagnato tre volte a settimana per le terapie ad Aversa, qui i mezzi pubblici non funzionano, e non so come fare. Il piccolo frequenta l’asilo, e nonostante siamo un nucleo familiare a reddito zero (solo la nonna percepisce una pensione minima di 270,00 euro) dovrei pagare per il servizio della mensa scolastica 40 euro al mese. Non potendomeli permettere, il bimbo non può frequentare la scuola a tempo pieno, e devo riportarlo a casa. Aiutatemi a salvare almeno questi altri miei due figli, vi prego”.
Nel rione popolare non ci sono spazi verdi, non esistono delle giostrine, i cassonetti sono stracolmi di rifiuti di ogni genere e, a quanto denunciano gli abitanti, topi e scarafaggi regnano sovrani. E la Gescal, dopo il censimento delle abitazioni, ha aumentato agli inquilini gli affitti.
Una terra di nessuno, dove la morte di Fortuna, e prima ancora quella di Antonio, sono parte integrante di un quadro dipinto a tinte fosche e angoscianti. Dov’è lo Stato? dove diamine sono gli ufficiali sanitari, i tecnici che dovrebbero dichiarare quegli edifici inagibili e pericolosi, gli operatori ecologici che dovrebbero rimuovere quei cumuli di spazzatura maleodorante, dove sono gli assistenti sociali che dovrebbero tutelare i bambini? Vergognatevi, vergognatevi tutti. Li avete, ci avete lasciati soli. A sopravvivere. A trovare un modo per mettere un piatto caldo a tavola, per poi meravigliarvi o scandalizzarvi se ci si riesce solo in modo poco ortodosso. Vergognatevi. Io mi vergogno un po’, anche per voi, per aver aspettato che morisse una bambina, tragedia nella tragedia, per scoprire che a 5 chilometri da casa mia esistono realtà come questa. Io, che non sono pagata dal popolo, e non lo rappresento con una fascia tricolore, stanotte penserò a come fare per portare un piccolo contributo a quelle famiglie. Voi, intanto, vergognatevi.