di Andrea Carpentieri
Giulia, ancora una Giulia: donne che muoiono, uomini che le ammazzano.
La violenza assassina che quasi quotidianamente si abbatte sulle donne è purtroppo un problema – direi meglio: un dramma – uguale ad altri, uguale a tanti altri, uguale a tutti gli altri. Tutti a parlarne, a commemorare, a cospargersi il capo di cenere per non aver fatto nulla – ma che cosa si pensa che si sarebbe potuto fare, alla fin fine, per quella ragazza? -, ma niente cambia. Mai. Neppure per un mese.
Io non so cosa si possa fare, cosa si debba fare, non ho soluzioni pronte e non dispongo dei mezzi per partorirne neppure una sola e sono sgomento anche per questa sensazione di impotenza assoluta. La sola cosa che posso fare, oltre ad assolvere i miei doveri di padre, di educatore, di cittadino, è provare a capire dove e da cosa nasca questa mattanza quotidiana e, da persona che vive di parole e testi, credo che anche una riflessione sulle parole, e sulla versione triviale di esse, possa servire a capire quanto radicato sia nella cultura italiana quel sentimento maschilista che è probabilmente l’anticamera della stanza degli orrori in cui tante donne sono finite e, temo, finiranno.
Le parole pesano, le parole, soprattutto, rivelano: cultura, o sottocultura, valori e disvalori, mentalità.
Le parolacce, parole anch’esse, sono assai significative in quanto le si usa, generalmente, quando si perde lucidità perché si abbattono i filtri. E ci si dis-vela.
Le parolacce, quindi: parliamone.
Quando si vuole offendere una donna, la si colpisce sulla moralità connessa con la sfera sessuale: i vari troia, puttana, baldracca, mignotta vanno in quella direzione, e credo si possa affermare che siano le parolacce più usate per aggredire verbalmente una donna.
Cosa accade quando si vuole colpire un uomo con le offese? Lo si definisce cornuto, bastardo, figlio di puttana, figlio di mignotta: l’offesa all’uomo, quindi, si fonda su un attacco alla moralità…delle donne, delle donne a lui più vicine, di sua madre o della sua compagna.
Quando poi non si tirano in ballo le donne in modo più o meno palese, ci si rivolge all’uomo con i sempre attuali gay, frocio, ricchione: un uomo da denigrare, quindi, diventa ipso facto una donna mal riuscita, viene offeso perché esce dai panni del proprio genere e va a indossare, sempre dal punto di vista degli orientamenti sessuali, gli abiti della femmina, si comporta come tale.
La subcultura maschilista di cui l’omicidio al femminile (odio la parola femminicidio) è la manifestazione più eclatante e schifosa, è tutta lì, nella sfrenata epifania che le viene concessa quando ci si abbandona a quelle parolacce nelle quali c’è tanto odio, tanta rabbiosa frustrazione, tanta verità su ciò che siamo e su come pensiamo.
Da secoli, da sempre.