di Anna Iaccarino
Bisognerebbe scappare dagli spazi inabitabili, dalle estensioni senza pareti, dalle vite complicate, invece, in alcune fasi del nostro cammino può succedere che tutto proceda esattamente in quelle direzioni, come un fiume in piena senza argini. Non importa se sono tasselli senza solchi, passi felici senza ali che portino lontano. È esattamente lì che vogliamo stare, in quel “senza tempo” che ogni giorno approda in respiri sospesi, ma anche in attimi di bellezza, infiniti e incantati.
In quell’essere di noi che rimane, senza bisogno del fermo del tempo che lo incasella, lo pianifica, lo rende rassicurante e uguale a tutti, ma non a noi.
Quell’oltre che non è altrove, ma il qui, ogni volta, ogni momento, ogni sospiro di risveglio, ogni fatica all’alba di un nuovo tempo, ogni gioia a intessere le meraviglia del vivere. Quel filo sospeso che va tenuto come un salvavita e curato come un fiore, ogni volta in rinascita.
Non sempre succede, non a tutti, ma accade. Perché? Ovviamente non ci sono risposte nette, né interessa cercarle, men che mai tentare di farne analisi e pensare che siano motivo di identificazione. Ma un pensiero libero, di solo confronto, anche per una dimensione in parte vissuta da chi scrive, si può provare.
Credo che una delle motivazioni parta da quel bisogno interiore che a un certo punto porta a non voler più cercare certezze, ma necessità di cogliere quegli spazi di vita in cui il per sempre non è più un traguardo, conquista di benessere, assicurazione di felicità. Una sorta di conflitto inconscio che cresce in un realismo interiore, un altro “dentro” che chiede voce e dal pedinamento di sé ti induce a cercare altre strade. Lontane da quelle vite in “affaccio di immagini vincenti” spesso solitudini d’insieme tra uguali e (parafrasando l’omonimo film) perfetti sconosciuti.
Per ritrovarsi invece di fronte a quel cammino spogliato da orpelli, che vive e basta, al di là delle mete, del senso di approvazione, del nido di protezione, che non insegui, non cerchi, ma che quando arriva e ti sceglie, ti tieni stretto e ne abiti tutto l’amore che dona.
Forse dovremmo ripartire proprio da questo, dall’indagare un po’ più noi stessi, ci aiuterebbe a dare quella leggerezza di cui la pienezza della vita ha bisogno. Un buon inizio per esplorare nuovi lembi, liberare verità, abbattere porte chiuse, contribuire alla bellezza.
Si perché ricerchiamo poco, a partire proprio da noi stessi.
ll modello di società ci ha resi tante moltitudini individuali in una identificazione collettiva del “sembra vero”. Un’immagine stereotipata di riproduzione di un falso d’autore, che genera spesso anime in continuo peregrinare, tante volte del nulla.
Tuttavia questa diversa identità da coltivare non va intesa come funzione residua, ma scelta consapevole di una nuova “cosa” interiore, capace di perfezionare i rapporti e sublimare il proprio Io. Un nuovo modo di stare al mondo, più consapevole e per questo più in verità di quel che diveniamo.
Non è un problema filosofico, ma estremamente pratico, vero e preciso, che crea un diverso confine dell’essere, liberato e più incline alla selezione sociale in funzione di un rinnovato benessere personale.
Questa fase della vita viene raggiunta con una consapevole maturità che pone nuovi interrogativi ed esigenze altre, ma in una cornice sostanzialmente più funzionale ad una nuova coscienza di sé.