In un suo articolo, Massimo D’Alema, con la lucidità che lo ha sempre contraddistinto, pone una serie di quesiti alla Sinistra, che dovrebbe nascere nel nostro Paese ed in tutta Europa.
È evidente, questo è l’incipit della sua riflessione, che la principale sconfitta sia la Sinistra, visto che la Destra, a livello nazionale come continentale, riesce sempre a rigenerarsi, alimentando e cavalcando i populismi, a volte – finanche – di matrice neo-nazionalista.
È, altrettanto, ovvio che la costruzione dell’Europa, dopo la caduta del Muro di Berlino, abbia rappresentato un ulteriore vulnus per la Sinistra, dal momento che, nel corso dell’ultimo ventennio, l’Unione Europea ha imposto politiche neo-liberiste, che sono l’esatta negazione di quelle socialiste.
Peraltro, aggravante di non poco peso, le classi dirigenti, che hanno promosso i cambiamenti in senso neo-liberista, sono state per lo più quelle socialdemocratiche, per cui è inevitabile che l’odio contro siffatti indirizzi coincida con la delegittimazione, sul piano elettorale e su quello politico, delle leadership della Sinistra dell’ultimo ventennio, apparse – non a torto – fin troppo invischiate con il potere, economico e finanziario, dei grandi trust internazionali.
In tal senso, non è possibile rimanere fermi ed è opportuno iniziare a ripensare, seriamente, tutto ciò che è stato legiferato nel corso degli ultimi due decenni.
È opportuno – evidentemente – ripensare il rapporto fra l’Unione Europea ed i singoli Stati nazionali, che ad oggi sono usciti malconci dal mutamento di secolo e di millennio.
Nel corso del Novecento, la crescita economica dell’Italia e dell’Europa è stata promossa grazie agli indirizzi neo-keynesiani delle politiche governative, per cui i singoli Stati nazionali hanno dato un impulso allo sviluppo delle industrie e degli apparati produttivi, spesso, anche ricorrendo al deficit ed al debito pubblico, ben sapendo che, senza questi due mali necessari, non è possibile fare investimenti e, quindi, generare un ciclo virtuoso per i cittadini.
Tutto ciò è stato, severamente, proibito dall’Unione Europea, che sanziona gli Stati, qualora essi dovessero violare la libertà di mercato, ma un siffatto valore, per quanto suggestivo in termini di evocazione, nella prassi concreta diviene sinonimo di povertà, visto che i soggetti privati, sottratti al controllo della mano pubblica, preferiscono andare ad investire i loro soldi dove la manodopera costa molto meno e dove, dunque, non esistono le garanzie, che invece la legislazione europea ha prodotto, in favore dei lavoratori, nel corso dell’Ottocento e del Novecento.
La globalizzazione, quindi, ha causato due mali: l’ulteriore impoverimento delle aree povere del mondo, dove oggi la produzione è stata trasferita in condizioni di semi-schiavitù per chi vive e lavora lì, e la desertificazione dell’Occidente, una volta, industrializzato che è ridotto ad essere un mero luogo di consumo di ricchezze, che ormai esso non produce più.
In tale contesto internazionale, si colloca la crisi politico-istituzionale di taluni Stati, fra i quali il nostro, a cui si è cercato maldestramente di porre rimedio attraverso il tentativo di riforma costituzionale, promosso dal Governo Renzi, che si è infranto contro la netta volontà del corpo elettorale, che l’ha bocciato con il referendum dello scorso mese 4 dicembre.
Infatti, gli Italiani, che hanno votato contro la nuova bozza di Costituzione, così come questa era stata approvata dal Parlamento, hanno inteso dare un segnale inequivocabile: con le riforme, per lo più fatte male, non si mangia, per cui a casa tutte quelle classi dirigenti che sono (o appaiono) le responsabili del fallimento dell’ultimo ventennio.
Ed ecco il ruolo della Sinistra.
Cosa essa deve fare per rilanciare il suo ruolo nel Paese ed, a livello internazionale, per evitare di essere spazzata via da quei populismi, che, peraltro, saliti al potere, dimostrano finanche di essere inadeguati al loro compito?
I quesiti, che si pone D’Alema, purtroppo dimostrano un certo ritardo nel dibattito nel campo progressista, perché invero non bisognava arrivare, affatto, alle sconfitte degli ultimi mesi per iniziare a comprendere che la Sinistra viene osteggiata dall’elettore medio, perché ritenuta – a torto o a ragione – sodale con le élite, che sono sempre più invise, visto il grandissimo solco creatosi fra queste stesse e le persone comuni, che fanno fatica a sopravvivere.
In Italia, poi il dibattito si presenta, ancora, più complesso, perché il partito, che avrebbe dovuto rappresentare la sintesi più avanzata fra la cultura socialdemocratica e quella cattolica, purtroppo si è dimostrato, all’evidenza dei fatti, inadeguato non solo a rappresentare la sfida, per cui esso era nato, ma impreparato nell’affrontare le sfide dell’oggi, per cui ha tentato di sopperire a siffatta impreparazione affidandosi al carisma (reale o presunto) del suo leader degli ultimi tre anni.
Ora, alla vigilia del prossimo Congresso primaverile, è necessario che si ripensi l’essere di Sinistra in Italia, ipotizzando nuovi contenuti, rinnovati leaders, ma soprattutto una diversa formula politica e partitica, perché è pleonastico sottolineare che il PD ha perso non solo la competizione referendaria del 4 dicembre, ma in particolare ha smarrito il senso profondo dell’identità propria di un partito riformatore, che sia in grado di definirsi compiutamente progressista.
Troppi obiettivi?
Troppo ambiziosi?
O, forse, ci si deve rassegnare ad una sconfitta, non solo contingente, ma strutturale, per cui , nel XXI secolo, potranno esistere solo due opzioni culturali, quella di una destra moderata e conservatrice opposta ad una destra populista e nazionalista, in assenza di una Sinistra, autenticamente, vicina ai bisogni dei più deboli e degli ultimi della società?