di Giosuè Di Palo
Dopo numerose battaglie civili negli anni ’70, la legge 194 “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” era stata approvata il 22 maggio 1978. Tre anni dopo, il 17 maggio 1981, gli Italiani furono chiamati al voto per due referendum abrogativi che volevano modificare tale legge.
Da un lato la proposta dei Radicali sulla liberalizzazione dell’aborto e la possibilità di estenderla anche nelle case di cura private. Dall’altra, i due quesiti posti dal Movimento ProVita: il primo sull’abrogazione della legge 194, il secondo sul riconoscimento del solo aborto terapeutico, cancellando gli articoli che invece tutelavano l’autodeterminazione della donna. Gli italiani che si recarono alle urne respinsero tutti i quesiti, scegliendo di preservare la legge che consentiva nei primi 90 giorni di gestazione l’interruzione volontaria della gravidanza in una struttura pubblica, e ai medici l’obiezione di coscienza.
Prima dell’introduzione della Legge 194 per il codice penale una donna che praticava l’interruzione volontaria di gravidanza rischiava fino a quattro anni di carcere, e chi causava l’aborto a una donna consenziente addirittura cinque. Succede che pochi giorni fa, a seguito della vittoria della Destra, o meglio della Meloni, alle ultime elezioni politiche, Maurizio Gasparri, esponente di FI ed attualmente vicepresidente del Senato, presenta un ddl riguardante la modifica dell’articolo 1 del codice civile in materia di capacità giuridica, chiedendo che quest’ultima possa essere acquisita al momento del concepimento.
Non è la prima volta che ci prova, va detto. Già ci aveva provato, senza risultati, nel 2009 prima e nel 2013 poi. Il suo è un disegno di legge di bandiera, tanto provocatorio quanto impossibile da far passare, visto e considerato che la stessa leader di Fratelli D’Italia ha sempre dichiarato di non voler in alcun modo modificare la 194, ma di chiederne la sua applicazione integrale. Non che ciò sia necessariamente un bene, vista e considerata già la disciplina attuale che rende molto difficoltoso se non impossibile in alcune regioni l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza per la mancanza di limiti e di indicazioni numeriche di medici negli ospedali pubblici che possano dichiararsi obiettori di coscienza. «La priorità saranno bollette, lavoro, fermare la legge Fornero, non tornare a dividere il Paese cancellando o modificando la legge sull’aborto.
Io sono sempre per la vita ma l’ultima parola spetta alla donna. Di tutto c’è bisogno tranne che di dividersi» ha detto Matteo Salvini in una diretta social. Ed è forse stata la cosa più corretta che ha detto dopo molto tempo. La legge 194 non è una legge di destra né di sinistra. Non è una legge che promuove l’aborto, ma lo garantisce. Non lo incentiva, ma lo tutela. Richiedere di modificare l’articolo 1 del codice civile implicherebbe che una futura gestante, che vorrebbe praticare l’interruzione volontaria di gravidanza, ed un medico consenziente potrebbero essere accusati di omicidio.
Non sono argomenti sui quali ci si può permettere il lusso di scherzare, visti i tempi che corrono. Non serve entrare nel merito delle questioni, non serve interrogarsi o scervellarsi sui motivi per i quali una donna voglia richiedere l’interruzione di gravidanza. Non bisogna a tutti i costi scavare nella vita delle persone per poter trovare un tassello che ci induca a poter dire «questo va bene. Quest’altro no».
Non serve che la donna ottenga l’approvazione sociale per potersi autodeterminare e scegliere cosa sia più giusto fare. La verità è che a noi, a tutti noi, piace entrare negli affari degli altri, piace dire la propria su questioni che non ci riguardano in prima persona. Però, come sempre, tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare. Quella di Gasparri è solo una delle tante inutili provocazioni di cui l’Italia non ha bisogno, né ora né mai.