Troppo spesso la politica, nel nostro Paese, sia a livello nazionale che locale, diviene espressione di moti trasformistici, che ovviamente sviliscono il sano e corretto dibattito istituzionale.
Peraltro, come ben sappiamo, è questa una malattia vecchia, che risale ai tempi della costituzione del Regno Italiano, quando prima con Crispi e, poi, soprattutto con Giolitti interi spezzoni delle classi dirigenti dell’epoca transitavano da una parte all’altra, non rispondendo ad ideali precisi, ma solo in ossequio a dinamiche di tipo particolaristico.
Una simile tendenza si è accentuata viepiù nell’ultimo ventennio, quando, venendo meno i partiti della Prima Repubblica, molti si sono sentiti liberi di gestire, secondo interessi di parte, le proprie posizioni, per cui il parlamentare di turno, il consigliere comunale, il consigliere regionale sono transitati dalla Destra alla Sinistra e viceversa, senza sentirsi in dovere di rispondere a chicchessia dei propri comportamenti.
L’assenza, poi, del vincolo di mandato dà la piena formalizzazione ad un simile stato di cose, per cui ciascuno si sente nelle condizioni di valicare i limiti ideali di posizioni culturali e politiche, che un tempo erano invece avvertite – giustamente – come delle gabbie d’acciaio.
Cosa fare contro una simile patologia?
Ben poco, visto che il sistema parlamentare si costruisce in tal modo.
Purtroppo, qualsiasi rimedio sarebbe destinato a fallire rispetto alla libera circolazione di idee ed uomini.
Ma, è ovvio che, poi, la democrazia paga un prezzo altissimo in termini di qualità.
Il cittadino si allontana sempre più dalle vicende “di Palazzo”, visto che l’assenza di coerenza diviene un motivo dirimente per moltissimi giovani, soprattutto, che agiscono solo sulla base di principi di natura ideale e che, pertanto, non si sentono identificati in coloro che hanno fatto della politica una merce di scambio ed uno strumento mero di conquista di posizioni di favore o di rendita.
Certo è che, per tal via, non può che aumentare la forza propagandistica del messaggio populistico, che sulla critica del trasformismo costruisce le proprie fortune, creando però le premesse di un’ulteriore malattia, non meno pericolosa del trasformismo stesso: la demagogia, che diviene – per tal via – la forma più evidente della decadenza dell’esercizio della democrazia.
Il nuovo millennio, non solo in Italia, è iniziato sotto l’insegna del populismo, che sta dilagando in tutta Europa, visto che la crisi economica non può che accentuare una siffatta dinamica e questo costituisce un motivo in più di incentivazione di pratiche trasformistiche, che sviliscono le democrazie moderne.
Forse, un ritorno alla coscienza morale, anche, in politica sarebbe doveroso?
Sappiamo bene che ciò non è possibile, dal momento che la politica ha una sua etica, che è diversa da quella del senso comune.
Ed, allora, non resta che confidare sulle persone, che decidono in questo momento storico di fare politica, nell’auspicio che i migliori vengano selezionati in base alla qualità della loro proposta e non per fattori esogeni, che non fanno altro che accelerare il processo di degenerazione della dinamica istituzionale, sclerotizzandola e portandola ad un livello di non accettabilità come per il singolo cittadino, così per la pubblica opinione più in generale, che hanno una sensibilità molto più acuta rispetto ai temi della moralità e del sano vivere.