di Rosario Pesce
Ragione e sentimento sono i due grandi motori, che danno vita ed energia a ciascuno di noi.
È ovvio che non sempre conducono le nostre azioni nella medesima direzione, per cui la capacità di discernimento deve indurre l’uomo a scegliere, di volta in volta, il percorso migliore, optando per la ragione strumentale e, quindi, per la ragione tout court ovvero per la dimensione valoriale e, dunque, per i sentimenti.
Non sempre la scelta è facile o immediata, per cui finanche l’attesa o l’ansia, che anticipano un siffatto momento, sono parti stesse della scelta, perché è ineluttabile che, in un dato momento, può prevalere l’una, mentre in una contingenza differente può prevalere l’altra.
Ciò accade nella vita del singolo, ma anche in quella di intere collettività.
Il voto, cioè l’espressione della compiuta volontà politica, obbedisce a logiche di tal genere, per cui molto sovente il cittadino, messo di fronte a due o più opzioni, sceglie per l’una o per l’altra spinto più dalla molla del sentimento, che da quella della ragione.
Quando succede ciò, siamo in presenza di epocali cambiamenti, i quali non sono – per forza – positivi solo perché la loro entità è, appunto, epocale.
Quante volte l’umanità ha scelto, perché indotta dal sentimento ovvero da una dimensione irrazionale (o prerazionale) che ha, poi, determinato effetti catastrofici?
Non dimentichiamoci che, sulla scia del sentimento, gli Ebrei uccisero Cristo, non riconoscendolo come Dio, e che i Nazisti realizzarono la più sistematica opera di persecuzione antisemita, utilizzando a proprio vantaggio un sentire comune, che era tanto iniquo, quanto discriminatorio.
Per questo motivo, sarebbe cosa buona e giusta se la ragione, in tutte le espressioni del vivere civile, tornasse a prevalere sull’istinto, ma siamo sicuri che gli Italiani e gli Europei, in questa circostanza storica, non siano affetti da un pirandellismo di ritorno?