La spina, rappresentata dallo scandalo che ha coinvolto il fratello del Ministro degli Interni, pone un problema di non scarso peso per il Governo in carica.
È evidente, infatti, che esiste in Parlamento un’area centrista, che – di volta in volta – ricerca la migliore collocazione possibile per essere sempre al Governo, luogo istituzionale del quale necessita per conservare quella necessaria fetta di potere, che le garantisce la sopravvivenza.
Orbene, dopo gli esiti elettorali amministrativi, appare ovvio che questo nucleo di parlamentari abbia percepito, in modo nitido, le difficoltà del Premier e stia, per questo motivo, creando le premesse per una nuova maggioranza, che possa guidare il Paese, in particolar modo, se Renzi dovesse essere sconfitto in occasione del referendum costituzionale di ottobre.
Pertanto, la vicenda di Alfano è meramente il “casus belli”, utile a creare le premesse per un disimpegno del NCD dall’attuale maggioranza di Governo.
Peraltro, è scontato che gli altri attori politici non possono non guardare con interesse all’iniziativa di questa pattuglia di deputati centristi.
Per un verso, la Destra ex-berlusconiana ritroverebbe ex-compagni di percorso, visto che questi sono parlamentari eletti nel 2013 sotto i vessilli di Forza Italia, mentre la minoranza del PD troverebbe lo strumento migliore per portare Renzi alle dimissioni, consumando – tramite terzi – una vendetta contro chi, per due anni, ha preferito dialogare con Verdini ed Alfano, piuttosto che con Bersani o Fassina.
In tale contesto, diviene importante il ruolo del Capo dello Stato, che – in caso di crollo del Governo, ora oppure ad ottobre – non può non ricercare tutti i percorsi parlamentari possibili per evitare la conclusione anticipata della legislatura, per cui appare molto probabile che venga perseguita la strada di un nuovo accordo di Larghe Intese fra PD e Forza Italia, allo scopo di fare pochi, importanti interventi legislativi, dalla rivisitazione della legge elettorale alla nuova disciplina in materia bancaria.
E Renzi?
Può mai rimanere fermo di fronte ad una strategia, che a breve potrebbe portarlo alla defenestrazione sia dal ruolo di Premier, che da quello di Segretario Nazionale del principale partito italiano?
Quali carte può giocare in suo favore?
Al momento, potrebbe unicamente aprire un tavolo di dialogo con la minoranza interna, ma pare che la sua volontà sia altra, per cui quanto più va in difficoltà, tanto più si allontana da una simile ipotesi, quasi a voler rivendicare la legittimità delle scelte, finora, messe in piedi.
Inoltre, non può sfuggire un dato importante: l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea porterà, nei prossimi mesi, la speculazione finanziaria ad erodere, ancora di più, le ricchezze dei cittadini del vecchio continente, per cui le probabili difficoltà, in cui potrebbero versare le banche, rappresentano una spada di Damocle pronta ad incombere sulla testa di quanti andranno ad assumere responsabilità di Governo nell’arco di due anni da oggi.
Quindi, è scontato che il nuovo Governo dovrà essere legittimato da una base di consenso parlamentare molto ampia, a meno che non voglia essere una mera esperienza balneare, come si diceva – con linguaggio fiorito – ai tempi della Prima Repubblica.
E, nel dopo-Renzi, cosa accadrà al PD?
L’implosione di quel partito?
Il rilancio dello stesso con il ritorno in auge degli ex-comunisti?
Il dissolvimento di questa esperienza in mille rivoli, a metà fra percorsi neo-centristi e forme movimentiste di dubbia matrice culturale?
Siamo, certamente, in un momento di svolta: o nascerà, nel futuro prossimo, un’Italia diversa da quella odierna o il populismo prevarrà su qualsiasi ipotesi di Governo e di gestione della complessità.
Siamo proprio sicuri che gli Italiani vogliono l’ingovernabilità ed il caos?