Trentanove anni fa veniva rapito Aldo Moro, che, circa due mesi dopo, sarebbe stato trucidato dalla violenza dei Brigatisti Rossi. A distanza di quattro decenni circa, si può forse tentare di giudicare ed analizzare una delle pagine peggiori della storia del nostro Paese.
È certo che i Brigatisti non furono gli unici a volere quella morte eccellente ed essi, forse loro malgrado, furono gli esecutori di un progetto più ampio, al cui interno erano presenti in modo attivo altre forze, nazionali ed internazionali.
È evidente che le indagini penali ed i processi, finora celebrati, hanno potuto – solo in minima parte – appurare le ragioni della morte dell’ex-Presidente della Democrazia Cristiana, padre della politica del Compromesso Storico e grande mediatore. In primis, i fatti italiani dell’epoca erano molto condizionati dalla Guerra Fredda, che si stava consumando fra Sovietici ed Americani, per cui è inimmaginabile tentare di ricostruire quel percorso storico senza far ricorso al ruolo avuto dai Servizi Segreti, statunitensi e russi.
Era, infatti, volontà convergente di molti far fallire il Compromesso Storico, visto che la presenza dei Comunisti italiani nella maggioranza di Governo non era ben vista né dagli Usa, né dall’Urss: d’altronde, quell’eccidio determinò le conseguenze volute, visto che, con la morte di Moro, terminò di fatto la stagione biennale della collaborazione fra Comunisti e Democristiani.
È, poi, evidente che, anche nei partiti del nostro Paese, potevano annidarsi molte autorevoli espressioni di dissenso verso Moro ed il Compromesso Storico.La Destra democristiana e la Sinistra comunista spingevano, non a caso, in senso contrario agli indirizzi voluti da Moro e da Berlinguer, per cui non si può non ipotizzare un livello di gradimento per una conclusione che, per quanto funesta per la famiglia Moro, metteva definitivamente fine a due anni di grandi dibattiti e di contrasti, non sempre palesi.
Non è un caso se l’unico leader, che si mosse per una conclusione diversa, Bettino Craxi, fu rapidamente isolato, per cui, in quasi tutti gli ambienti parlamentari, prevalse la linea della non-mediazione con le BR, che condannava Moro inesorabilmente alla morte, giunta nel maggio del 1978. Finanche il Papa, che pure avrebbe potuto utilizzare la sua autorevolezza morale per salvare l’amico di gioventù, fu irretito dalla logica del non accordo con i Brigatisti, per cui divenne, suo malgrado, complice di una dinamica che portava Moro ad essere condannato alla morte.
Quella morte violenta, tuttora, ha conseguenze sulla vita italiana, non solo perché le indagini non sono mai terminate ed il lavoro degli storici continua in maniera incessante.
Con la morte di Moro non solo sono scomparsi i partiti, che lo condannarono alla morte per effetto della linea della fermezza, ma è venuto meno nel nostro Paese il rapporto di fiducia fra gli stessi partiti ed i cittadini, moltissimi dei quali non compresero il motivo per cui lo Stato si ostinava a non trattare per salvare l’espressione migliore della politica e delle istituzioni di quegli anni.
D’altronde, successivamente, lo Stato italiano non esitò a trattare con le Brigate Rosse per salvare esponenti di livello di gran lunga inferiore a Moro, come nel caso dell’assessore regionale campano Cirillo, per cui appare oggi davvero illogico quel comportamento del Governo e del Parlamento, che lasciò Moro morire per mano dei Brigatisti Rossi.
Nel 1978 – e non nel 1994, per effetto di Tangentopoli – è morta, noi crediamo, la Prima Repubblica.
In quella vicenda si è consumato il divorzio fra gli Italiani e le istituzioni, che tuttora produce effetti molto negativi, visto che prevalgono sempre più la disaffezione ed il disinteresse dei nostri concittadini verso la Cosa Pubblica.
Forse, per rifondare la politica, nel nostro Paese, bisogna ripartire da Moro e dai suoi insegnamenti?
Forse, per rilegittimare il ruolo dei rappresentanti del popolo, bisogna insegnare l’onestà intellettuale e morale di chi, come Moro, dal chiuso del carcere brigatista, comprese in modo molto lucido il disegno eversivo, che si stava consumando attraverso il suo rapimento e la sua morte ineluttabile?
Forse, bisogna riannodare il nastro degli ultimi tragici quaranta anni, per far comprendere ai giovani tutti gli step che hanno svilito la vita pubblica ed, in taluni casi, il senso stesso del Bene comune?