di Alessandro D’Orazio
La Repubblica più antica del mondo – quella di San Marino – sembra aver particolarmente sofferto gli anni bui della crisi economica, a tal punto che nel corso dell’ultimo decennio il Prodotto Interno Lordo di questo microstato si è addirittura ridotto del 40%. Sembrerebbe quasi la fine di un sogno per i 28mila Sanmarinesi doc, a cui aggiungere 5mila italiani residenti, qualche centinaio di stranieri assorbiti e soprattutto 6mila frontalieri marchigiano/romagnoli che ogni giorno attraversano il confine per recarsi a lavoro; una crisi dovuta per lo più al collasso del sistema bancario sammarinese con crediti di imposta concessi negli anni per la risoluzione delle crisi bancarie, che stanno comportando di fatto un aggravio per il bilancio dello Stato. In buona sostanza: gli aiuti di Stato non stanno salvando le banche, la qualità dei finanziamenti precipita, i crediti deteriorati aumentano e il costo ricade sempre più sui cittadini.
Solo per citare qualche numero, il totale attivo del sistema bancario è passato da 11,5 miliardi di euro del 2008 a 4,6 miliardi a dicembre 2018 (-60%). Nello stesso periodo, il sistema bancario ha registrato perdite nette per complessivi 861 milioni di euro. Infatti, a fronte di utili registrati nel biennio 2008-2009 per 95 milioni complessivi, dal 2010 il sistema bancario ha rilevato risultati negativi per un totale di 956 milioni. Infine, un Pil sceso a 1,4 miliardi di euro (11 anni fa raggiunse il picco di 2,75 miliardi di dollari, oggi è a 1,65) e un debito pubblico ufficialmente attorno al 25% hanno reso la situazione finanziaria del Paese nettamente critica.
Per queste ragioni, un ipotetico accordo di associazione con l’Ue diventerebbe per la Repubblica del Titano una questione vitale. San Marino, infatti, nonostante la geografia totalmente integrata con l’Italia, è oggi “paese terzo” rispetto ai restanti Stati europei, con i quali condivide solo un accordo di cooperazione doganale (1991) e la Convenzione monetaria del 2000, rivista nel 2012, che autorizza, tra l’altro, il Titano ad utilizzare l’euro come moneta ufficiale dello Stato.
Però oggi, dieci anni dopo l’uscita forzata dalla comoda dimensione di paradiso fiscale, questo cordiale rapporto di vicinanza non basta più. Dal 2015 San Marino, insieme ai cugini del Principato di Monaco e del Principato di Andorra ha iniziato un lento percorso di avvicinamento a Bruxelles, chiarendo però fin dall’inizio di non voler diventare membro Ue, ma solo di ambire a concludere un mero “Accordo di associazione”.
Insomma, il Titano ha un disperato bisogno di Europa, ma desidera essere considerato nelle sue peculiarità di microstato autonomo: l’idea cioè di un Paese aggrappato – secondo gli economisti più intransigenti – a un mondo che non c’è più, spazzato via dalla crisi economica mondiale dell’ultimo decennio.