Una ragazzina disabile presa a sassate da un gruppo di cinque balordi a Milano. L’episodio si è consumato nella serata di domenica nei giardini di Via Gonin, nella zona di Lorenteggio.
Una triste vicenda, i ragazzi sarebbero tutti minorenni.
Mi chiedo come è possibile che fino a questo momento, ancora nessuno degli abitanti del quartiere abbia spontaneamente dato una mano agli inquirenti. Come padre di una ragazza di 14 anni sono allibito. Ma sanno questi ragazzi ( mi viene difficile chiamarli cosi ) cosa può essere la vita per una ragazza disabile?
La loro “diversità” significa fatica, paura, difficoltà. Molto alta è l’asticella che quotidianamente devono saltare questi giovani. Grande è il valore dei propri genitori, immensa la loro devozione, senza confini il loro amore.
Continuo a riflettere e penso: molto meglio essere genitori di un giovane che ha problemi di salute, piuttosto che ritrovarsi in casa dei mostri privi di qualsiasi sentimento…si, è sicuramente meglio cosi.
Essere disabili e non volere rimanere per tutta la vita sotto una campana di vetro: è la sfida di questi ragazzi. Vivere una vita normale, ed avere gli stessi desideri dei ragazzi della loro età e il loro sacrosanto obiettivo. Teniamolo sempre a mente, ed adoperiamoci tutti per non sentire o leggere mai più simili atrocità.
Noi genitori di oggi esistiamo ancora come tali? Siamo troppo incerti, dubbiosi, esitanti? Non siamo più in gradi di esercitare il ruolo che ci compete, quello di essere credibili e autorevoli? O forse non sappiamo più distinguere tra “autorevole” e “autoritario” e dunque, nel nome della nostra giovinezza “antiautoritaria”, abbiamo perso ogni autorevolezza?
E tutti questi punti interrogativi che costellano la pagina che state leggendo non riflettono forse la paralisi e il tormento di un genitore che non sa decidere, e non sa più imporsi? E questi ragazzi? Vivono nel compiacimento di comportamenti aberranti , e nell’ assenza della più minima coscienza civile.
Ragazzi che si confrontano quotidianamente con modelli errati, che non trovano, e nemmeno cercano, ambienti capaci di dare loro un educazione collettiva, che non trovi più nel decadimento morale il loro modello unico di riferimento.
Ripenso con sgomento al dolore della mamma della bambina che è corsa ai giardini per soccorrere la ragazza.
Con uguale sgomento, penso ai genitori di quei ragazzi che si sono macchiati di una simile atrocità. Forse queste belve di serie b spadroneggiano nelle città anche per colpa nostra? E se spadroneggiano è davvero perché, come si dice, non sappiamo più trasmettere valori, non sappiamo più comunicare il senso del giusto e delle cose da fare, non sappiamo più proporre modelli di comportamento convincenti?
Riusciamo ancora a suggerire la forza di un confine etico e culturale che divide ciò che è lecito da ciò che non lo è, la barriera che separa ciò per cui vale la pena vivere e le negatività distruttive di un desiderio informe che non riesce più a scegliere, a capire che alcune cose si possono fare e altre no, punto e basta?
La sanzione non è forse la prova che crediamo alle cose che diciamo? Che non si tratta solo di trasmettere, parlare, spiegare, comunicare, ma anche di punire la violazione commessa da chi, macchiandosi di una piccola o odiosa infrazione ( come quella di Milano) sa che quel comportamento verrà prontamente sanzionato?
Il problema non è forse che non incutiamo più paura, padri inetti che non siamo altro? Che è facile dire “questo non si fa”, ma è difficile aggiungere “ se lo fai sono guai” e poi far seguire alle minacce dissuasive le adeguate pratiche sanzionatorie? E tutto questo lamento non è il solito, patetico, verboso, iperdubbioso sfogo di un padre spodestato, dopo aver tentato, anni e anni fa, di spodestare il suo?