di Angela Cascella
Si può insegnare la felicità? O è intrinseca in ognuno di noi, in quello che facciamo, in quello che viviamo, in quello che siamo? In una scuola americana, a seguito di un grave lutto familiare vissuto da alcune alunne dell’istituto, la dirigente ha pensato di rivolgersi ad una psicologa per consentire alle stesse allieve di fronteggiare il disagio che si trovavano a vivere. L’elaborazione di un lutto richiede persone esperte per trovare il canale giusto per superare il disagio psicologico, la frustrazione interiore, elaborare il dolore e sviluppare la capacità di resilienza. L’iniziativa ha avuto buoni risultati, tanto da tramutare in una disciplina di curricolo l’intervento di un esperto di psicologia. L’ora di “happyness” è entrata a pieno regime nella programmazione curricolare di questa scuola americana. In Italia come sarebbe recepita una iniziativa del genere? Sarebbe un’ora persa in cui qualche docente verrebbe catapultato a “far felici” pochi eletti? Il difficile della nostra realtà scolastica non è avere idee creative per fare della scuola un mondo in evoluzione e crescita, il problema è nella gestione primaria del sistema da parte delle autorità competenti. Un esempio che vale per tutti: scelta di docenti da parte delle scuole da segnalare tra sei aree di riferimento; questo per l’organico di potenziamento che dovrebbe sanare i punti di debolezza rinvenuti a seguito delle autovalutazioni effettuate (anche nel Rav). Nella realtà, invece, arrivano docenti a pioggia senza riferimento alle aree da potenziare. Che cosa esattamente si dovrebbe insegnare in queste ore di potenziamento non è definito. Di docenti, poi, ne arrivano meno, molto meno di quelli richiesti. Nessuna indicazione sulle reali funzioni da far svolgere a questi docenti, che di fatto vanno a colmare quei vuoti di cattedra che si creano giornalmente. Questo per dire che tutto si potrebbe fare, anche l’ora di “felicità” (perché no?), ma prima di qualunque idea ci vuole un piano di intervento. Improvvisare o lasciare alle singole scuole di adattare forze, risorse e situazioni senza parametri univoci, indicazioni ministeriali, procedure nazionali univoche rischia di rendere ogni scuola autoreferenziale e priva di fulcri essenziali: continuità e congruità di interventi educativo – didattici.