Nella vita possono succedere cose, che mai nessuno avrebbe immaginato.
Una di queste è quella di dover dar ragione a Brunetta, che, nel corso delle ultime settimane, è stato l’esponente di Forza Italia, che maggiormente ha osteggiato il piano di riforme costituzionali varato dal Governo, che, nel prossimo mese di settembre, dovrebbe essere ratificato, in seconda lettura, dal Senato, prima della necessaria verifica popolare previo il ricorso al referendum confermativo, previsto dalla Costituzione vigente.
È evidente che l’intera procedura di revisione della Carta del 1948, finora, ha vantato un punto di forza importante, che sembra non esistere più: il Patto del Nazareno, cioè l’accordo fra Berlusconi e Renzi, stipulato nell’inverno del 2014, che ha consentito, nell’estate dello stesso anno, l’approvazione della riforma in prima lettura ad opera del Senato.
Oggi, la situazione è, completamente, differente: non solo gli uomini di Forza Italia non sono disposti più a fare la stampella del Governo, ma intendono trattare con la minoranza del PD per modificare, sensibilmente, la riforma in cambio di un emendamento alla legge elettorale, l’Italicum, che dovrebbe prevedere il premio di maggioranza in favore delle coalizioni e non dei singoli partiti.
Nonostante la formazione di un piccolo gruppo senatoriale da parte di Verdini, i numeri a Palazzo Madama per l’approvazione definitiva del disegno di legge di revisione costituzionale, dunque, non esistono più, se permane la situazione attuale, a meno che il PD non si ricompatti e non voti in modo unanime, seguendo l’indicazione esplicita della Segreteria Nazionale.
Ma, il vero problema insiste all’interno del principale partito italiano, dal momento che, per la prima volta a partire dal febbraio del 2014, la componente minoritaria del Partito Democratico sembra intenzionata a fare sul serio e mette, finanche, in conto l’ipotesi che il Governo possa non avere più la maggioranza.
Brunetta, molto abilmente, infatti si è affrettato ad affermare che, in caso di caduta del Dicastero odierno, Forza Italia darebbe il suo contributo per la nascita di un nuovo Governo, che sarebbe il quarto consecutivo a nascere senza un’investitura diretta, per effetto – dunque – di una manovra partitica, che riporterebbe il Paese a vivere la condizione esemplare di una democrazia parlamentare, al cui interno sono le Assemblee elettive – e non il corpo elettorale – a decidere le sorti dell’Esecutivo.
È ovvio che, se si realizzasse l’ipotesi brunettiana, di fatto verrebbe a capovolgersi il rapporto, all’interno del PD, fra la maggioranza renziana e la minoranza bersaniana e cuperliana, perché, per la prima volta da diciotto mesi a questa parte, una parte cospicua del gruppo parlamentare di quel partito voterebbe in modo divergente rispetto alle indicazioni del Presidente del Consiglio, giungendo a metterne in dubbio la permanenza a Palazzo Chigi.
Peraltro, a gestire un’eventuale crisi non sarà più Napolitano, ma Mattarella, che ha già fatto intendere che, nel corso del suo mandato, intende muoversi in maniera assai diversa dal suo predecessore, il quale molto spesso si è mosso nei panni del regista di opinabili operazioni parlamentari da un punto di vista politico, anche se pienamente legittime da un punto di vista strettamente formale-giuridico.
Il nuovo Capo dello Stato, in perfetta linea con il dettato costituzionale, infatti intenderebbe interpretare la sua funzione, muovendosi piuttosto nei panni dell’arbitro, per cui lascerebbe ai gruppi parlamentari l’autonoma elaborazione di strategie, che non sarebbero più ispirate dall’inquilino del Palazzo, che sorge sul Colle più alto della politica italiana.
In assenza, quindi, di un siffatto elemento di garanzia, la posizione di Renzi non può che indebolirsi ulteriormente, visto che, lungo tutto il 2014, i suggerimenti di Napolitano sono stati preziosi per un Presidente del Consiglio, giunto a Palazzo Chigi dopo una lotta intestina e sotterranea, politicamente assai cruenta, contro l’allora Premier in carica, Enrico Letta.
È segnato, dunque, il destino del Dicastero Renzi?
Non si può, certamente, fornire una risposta univoca ad un siffatto quesito, ma esso ci appare, senza alcun dubbio, molto più debole di qualche mese fa.
Sarà sufficiente la condizione odierna, per ipotizzare – a breve – un cambio della guardia a Palazzo Chigi?
Forse, chi di Patto del Nazareno ha in passato ferito, oggi, per effetto della stessa arma, rischia prematuramente di perire?