I sondaggi, appena pubblicati e realizzati da Ilvo Diamanti, dimostrano un trend importante: il Governo ed il suo leader, in particolare, hanno raggiunto il livello minimo di consensi da parte degli Italiani, per cui sia l’Esecutivo, che lo stesso Premier sarebbero graditi al 41% del campione di Italiani intervistati.
È evidente che tutti i sondaggi, finanche quelli realizzati da una persona molto perbene, come Diamanti, vanno presi con le molle, come si dice in gergo: infatti, qualora pure essi fossero realizzati con cura scientifica, come in tal caso, fotografano sempre un’istantanea, che, a distanza di poche settimane ovvero di alcuni mesi, potrebbe cambiare in modo radicale.
Peraltro, il gradimento espresso attraverso la fonte di un sondaggio non equivale certo al livello di consenso, che eventualmente quel leader avrebbe in quel momento, qualora si presentasse, immediatamente, al vaglio elettorale.
Fatte queste dovute precisazioni, è giusto però mettere in rilievo come il trend, rappresentato dal sondaggio di Diamante, appare aderente al reale, visto che, dopo due anni di Governo, Renzi è forse, effettivamente, giunto allo standard più basso di consenso.
Ciò è avvenuto per una serie di motivi, alcuni dei quali strettamente inerenti alle vicende partitiche, altri che possono fare riferimento alle condizioni oggettive della società italiana in questo primo bimestre del 2016.
Appare a tutti evidente che, dopo una prima fase espansiva, nel corso della quale Renzi aveva acquisito un consenso amplissimo, coincidente con il voto delle elezioni Europee del maggio 2014, è iniziata progressivamente la fase calante per il Presidente del Consiglio, che si è scontrato con i problemi, non sempre di facile soluzione, posti dall’urgenza istituzionale e dallo stato di cose.
Il debito pubblico non è rientrato, almeno nei margini nei quali si confidava, per cui oggi la Commissione Europea chiede all’Italia quelle riforme strutturali, che non sono state mai fatte, e che nessun Presidente del Consiglio intende mettere in cantiere a cuor leggero, ben sapendo che possono determinare una macelleria sociale e che, dunque, possono alienargli fette assai cospicue di consenso.
Peraltro, il rilancio dell’economia, su cui Renzi molto aveva scommesso della sua credibilità, non si è prodotto, nonostante alcune condizioni internazionali molto favorevoli, perché purtroppo il nostro Paese diviene sempre più un deserto industriale, visto il trasferimento di imprese dal nostro territorio nazionale verso altri lidi, dove il costo della manodopera e, soprattutto, i costi fiscali sono molto più bassi che da noi.
Un Paese, che produce meno ricchezze, è anche una nazione che arretra sul piano demografico e che, dunque, nell’arco temporale di una generazione, è destinata a divenire sempre più vecchia, con costi importanti per l’assistenza sociale e sanitaria di chi, diventando più anziano, ineluttabilmente è soggetto a contrarre tutte quelle patologie invalidanti tipiche dell’età senile.
Naturalmente, tali servizi costano, ma chi li pagherà, se sempre più sono gli inoccupati o i disoccupati, che dunque non versano un euro di tasse all’Erario pubblico?
Inoltre, un dato è preoccupante: la contrazione demografica del Paese fa sì che gli Italiani siano sempre più intimoriti dall’arrivo dei migranti asiatici o africani, in quanto essi temono che, nell’arco di qualche generazione, seguendo tale trend, di fatti i nostri nuovi concittadini possano essere, finanche, più numerosi o preponderanti, comunque, rispetto a chi vanta tradizioni italiche consolidate da secoli.
Naturalmente, come si può arguire, la scommessa dell’integrazione si può vincere più facilmente, quando c’è ricchezza per tutti; quando, invece, la ricchezza tende a decrescere, diviene molto difficile riuscire ad estirpare atteggiamenti, eventualmente, xenofobi ed intolleranti, perché i flussi migratori finiscono per innescare dinamiche perverse, quali quelle che si accompagnano, tipicamente, alle fasi storiche nelle quali i poveri sono in guerra permanente fra di loro.
Tutti questi dati, nel corso del biennio di Governo di Renzi, si sono stratificati ed hanno creato un fortissimo allarme sociale, che si ripercuote sul livello di gradimento dell’Esecutivo, visto che, a torto o a ragione, gli Italiani si sentono più poveri ed, in particolare, meno protetti rispetto alle grandi emergenze sociali del nostro tempo.
A questi dati di interesse generale, se ne aggiungono altri, ben meno importanti, ma comunque qualificanti, che ineriscono alla vita delle istituzioni e dei partiti.
Appare sotto gli occhi di tutti la mutazione genetica, che Renzi ha imposto al PD: ormai, sono decisivi per le sorti del suo Governo forze politiche, che poco o nulla hanno a che fare con la tradizione del Centro-Sinistra, da Alfano a Verdini, per citare i due più autorevoli rappresentanti di spezzoni del vecchio Centro-Destra, che oggi invece sostengono, in una posizione di ovvia forza, un Esecutivo che, altrimenti, non avrebbe i numeri per andare avanti alla Camera.
Questo scenario parlamentare ha, comunque, logorato Renzi, perché, per quanto il PD sia un partito di recente fondazione, è un soggetto partitico che si è sempre collocato in un orizzonte culturale che, per sua definizione, è molto diverso da quello in cui si riconoscono molti di quei politici che sono transitati dal carro berlusconiano a quello renziano.
Le elezioni del prossimo mese di giugno, in moltissime città italiane, saranno utili per capire lo stato di salute di un partito, che oggi appare parcellizzato in correnti e componenti varie, destinate prima o poi ad implodere, quando la tenuta del Governo non sarà più certa per l’intervento di fattori internazionali, che forse indurranno Renzi a fare ciò che toccò in sorte, nel 2011, a Berlusconi.
È evidente, infatti, che lo scontro attuale con l’Europa non può essere foriero di nessuna buona notizia per il Premier, visto che tutti quelli che, finora, si sono scontrati con la burocrazia europea hanno subìto sonore sconfitte, non solo in Italia, ma anche in altri Paesi, come la Grecia, costretta ad allinearsi ai dettami della trojka nella scorsa estate, nonostante il movimento di pubblica opinione contro l’Unione Europea fosse, nel Paese ellenico, molto più ampio e radicato di quanto non lo sia, ora, da noi.
Quindi, l’antieuropeismo odierno di Renzi non produrrà alcun risultato concreto, se non il logoramento ulteriore di un Governo, che oggi appare chiuso intorno alla figura del suo vertice e blindato per una serie di accordi parlamentari, che non sono certo spendibili in campagna elettorale.
Verdini o Alfano potranno candidarsi nelle liste del PD?
È ovvio che la risposta non può che essere negativa, dal momento che, in quel caso, si verificherebbe una rivolta da parte della base democratica, che potrebbe avere effetti deleteri per un partito che, per governare, deve ambire a conseguire, almeno, il 40% dei voti al primo turno, se vuole evitare di sottoporsi alla prova del ballottaggio, che – di per sé – nasconde insidie di non poco conto.
In un tale contesto, nazionale ed internazionale, non si può che auspicare un atteggiamento di maggiore prudenza da parte di chi ha affascinato e sedotto gli Italiani negli anni scorsi e che, ora, invece, rischia di essere visto come una minaccia da parte degli stessi che, solo pochi mesi fa, lo vedevano come l’ultima e provvidenziale speranza per un Paese in ginocchio.