I fatti parlamentari della scorsa settimana hanno presentato una novità importante: per la prima volta, il PD, partito erede della tradizione comunista e di quella democristiana, ha mandato assolto un senatore, Azzollini, accusato dalla Magistratura pugliese di reati compiuti nella gestione di settori rilevanti della Sanità privata di quella regione.
Senza voler entrare nel merito della situazione penale del parlamentare molfettese, visto che esiste il principio della presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio, non possiamo però esimerci dal fare una riflessione politica, dal momento che la pubblica opinione italiana, nonostante sia distratta dal clima di vacanza, ha comunque posto la sua attenzione su un fatto, che ha un rilievo mediatico non secondario.
Infatti, esiste un principio fondamentale della nostra Costituzione, quello dell’uguaglianza giuridica, che vuole che tutti i cittadini siano eguali, appunto, davanti alla Legge.
Appare evidente che il voto del Senato abbia, manifestamente, violato un siffatto principio, perché, salvando un Senatore dalla carcerazione preventiva, ha – di fatto – assicurato a questi un privilegio che, al normale cittadino, non può essere garantito.
D’altronde, l’istituto dell’immunità parlamentare nacque per garantire i rappresentanti del popolo dagli eccessi del Governo e, quindi, della Magistratura.
Appare lapalissiano che le condizioni storiche, che portarono i padri della Costituzione a prevedere un siffatto istituto per gli eletti, non esistono più, dal momento che nessuno, certamente, metterebbe oggi in discussione la libertà di opinione e di voto di un senatore o deputato.
Questi, piuttosto, come nel caso di Azzollini, si trovano molto spesso a dover rispondere al potere giudiziario per reati comuni, come corruzione o concussione, per cui è ineluttabile che il Parlamento, qualora voglia almeno apparire credibile alla nazione, dovrebbe rinunciare pregiudizialmente all’immunità, quando non sono in gioco libertà e diritti previsti dalla Carta del 1948.
Il dato politico preoccupante, però, è rappresentato dall’atteggiamento del principale partito italiano, il PD, che ha votato in larga parte in favore di Azzolini, consentendo a questi di sottrarsi ai rigori della Legge.
Solo qualche anno fa, sia il PCI, che la DC, di fronte ad un fatto simile, per ragioni ideologiche o di mera opportunità, si sarebbero comportati assai diversamente, chiedendo al parlamentare inquisito di rinunciare alla conta e di consegnarsi sponte sua al giudice, che avrebbe provveduto a dare esecuzione agli arresti domiciliari, come già era previsto nel caso del Senatore pugliese.
Evidentemente, il livello di rispetto per le istituzioni, venti anni fa, era ben diverso da quello odierno: l’ultima grande personalità, che, con un voto della Camera, riusci ad evitare i rigori della carcerazione fu Bettino Craxi, il quale, però, finito il mandato di deputato, fu costretto poi a scappare in Tunisia per sottrarsi agli arresti, che sarebbero stati inevitabili.
L’esempio del leader socialista, a quanto pare, non è stato di utile ammaestramento per le generazioni successive; anzi, coloro che, allora, chiedevano gli arresti dell’ex-Presidente del Consiglio, oggi invece mandano assolti i propri sodali o, comunque, quelli con cui reggono le sorti del Governo nazionale.
L’Italia odierna è, dunque, migliore o peggiore di quella del biennio 1992/94?
A noi, invero, sembra che il rispetto per il Bene pubblico e per i valori civili sia venuto, progressivamente, meno: sembra, quasi, che nel dopo-Tangentopoli il male si sia ampliato, per cui il sacrificio di un’intera classe dirigente, falcidiata dalla Magistratura, ha fatto sì che ne nascesse una nuova, ben peggiore della precedente, sia sotto il profilo delle competenze, che quello della pubblica moralità.
Un dato è certo: dopo il voto in favore di Azzollini, all’interno del PD non può non nascere una discussione seria circa la natura di un partito, che ormai appare fin troppo smaliziato nella gestione quotidiana delle istituzioni, per cui, in modo anche più pronunciato rispetto alla vecchia DC ed al PSI craxiano, si è calato nei panni del partito-Stato, che agisce unicamente entro la prospettiva dell’esercizio, meramente fine a se stesso, del potere.
Per quanto tempo, ancora, un simile atteggiamento potrà premiare Renzi ed il suo gruppo di fedelissimi?
Noi crediamo che, di questo passo, Grillo possa avere un percorso fin troppo facile da percorrere lungo il sentiero della delegittimazione ulteriore di una classe dirigente, che non fa nulla per essere (o, quanto meno, per apparire) migliore di quella che è.
L’antipolitica nasce per effetto della cattiva politica; orbene, il caso Azzollini è l’esemplificazione più lucida di una dinamica simile, che potrà portare gli Italiani a rigettare chi li governa ed a favorire l’ascesa di chi mostra un modo diverso, comunque, di intendere il proprio impegno quotidiano all’interno delle istituzioni democratiche.
Quando lo capirà Renzi?
Quando lo avvertiranno i notabili, che si muovono solo allo scopo di conservare i propri obsoleti privilegi?
Forse, bisognerà aspettare le prossime elezioni politiche, per dare un segnale ad un Paese, che, giorno per giorno, retrocede in tutte le graduatorie, che vengono stilate tenendo conto dei parametri della ricchezza prodotta, della qualità dei servizi erogati e della diffusione dell’istruzione e della cultura?