di Alessandro D’Orazio
Il social più diffuso tra gli under 20 è Instagram, mentre Facebook rimane l’app più utilizzata dagli over 30. Questi social oltre a rappresentare una fonte di guadagno (gli sviluppatori si arricchiscono attraverso le pubblicità che gli inserzionisti pubblicano), innescano un meccanismo diabolico; mettendo, ad esempio, 2 o 3 “like” ad un video concernente un determinato argomento, Facebook ne riproporrà subito altri dello stesso genere.
L’algoritmo che è alla base individua, infatti, i gusti dell’utente, tentando in tutti i modi di prolungare la sua permanenza sulla piattaforma. È la stessa app, inoltre, a richiamare – mediante notifiche e messaggi insistenti – l’attenzione di quel fruitore che per un determinato periodo decide di allontanarsi dai social. Il meccanismo generato tenta così di fare breccia sull’autostima e sulle passioni degli utilizzatori avvalendosi di piccoli escamotage. Uno di questi è ad esempio l’hashtag: uno strumento utile a codificare il contenuto di un’immagine o di un post, amplificandone a dismisura la visibilità.
Per evitare di diventare dipendenti da queste applicazioni è bene iniziare col porsi dei limiti (aprire il social solo in alcuni momenti della giornata e per un tempo limitato, impegnarsi in altre attività, ecc.). Si possono inoltre nascondere le icone dalla home per evitare possibili tentazioni, tenere il telefono lontano da sé, decidere di guardare solo determinati tipi di contenuti, e così via. Ad ogni modo, ciò che più conta è essere sempre consapevoli che questi strumenti sono in grado di fornire solo un piacere illusorio, momentaneo; mai duraturo. Una sensazione antitetica all’ineguagliabile motore propulsore rappresentato dall’etica dello studio e del lavoro.