di Anna Iaccarino
Sognare, l’unico diritto che rende uguali.
Probabilmente non è così, anzi, quasi certamente non lo è. Ma perché non pensare che possa non rendere uguali ma appartenere egualmente a tutti? Perché non crederci?
Proviamo a farlo. Sebbene la vita ci sbatta in faccia quasi quotidianamente tutt’altro.
Ovvero che anche nel sognare non c’è equità. Che ci sono gli aventi diritto e gli esclusi. Quelli che non vengono mai messi nelle condizioni di giocare alla pari, che vivono nella nudità degli ultimi, fino a rappresentare esistenza senza esistere. Quella umanità dei senza parola, degli indifesi, degli invisibili, a cui è negata ogni cosa.
Sagome tutt’uno con marciapiedi, coperte consumate, letti di cartone, a volte presenti, a volte menti offuscate da alcool e ricordi, a cui basta lasciare qualche moneta per sentirsi migliori.
Ai quali può essere tolto tutto, ma non la follia dei sogni.
Ed ancora, guardando a questa fase storica, che mette di fronte al miserevole quadro del distinguo tra esseri considerati “tali” ed esseri catalogati “clandestini”, dimenticando il loro “essere”, prima di ogni cosa, umanità.
Perché allora abbracciare comunque l’idea dei sogni come diritto di appartenenza?
Perché significa credere nella bellezza che non ha confini né steccati, che non abbandona l’idea di condanna di chi alimenta modelli vincenti e modelli perdenti. Perché significa essere ancora parte di quella “bellezza” che forse è essa stessa sogno, ma che rimane il primo principio da nutrire perché l’esistenza umana abbia un senso.
Io penso che i sogni vadano tutelati, preservati come un bene dell’Unesco. Perché nella loro astrazione mantengono viva quella parte del mondo che ancora parla all’anima e prova a infondere speranza. Quella speranza sognatrice che, al di là della visione d’incanto, può avere anche un peso di input reale, concreto, sui grandi temi della terra.
Mission impossible? Può darsi. Ma è proprio questa la potenza del sogno, sfidare la forza dell’evidenza e renderla meraviglia. Nei grandi traguardi come nella semplicità del nostro vivere. Del resto chi di noi non si è mai cibato di sogni? Anche quando non ne ha vissuto la consapevolezza, l’agire mentale, camuffandone lo stato di percezione.
Anche quando è servito crederci solo come ancòra di appoggio, come un salvagente a cui aggrapparsi, per ripararsi dalla tempesta e riprendere poi il navigar di nuovi mari. Sognare è diverso dal pensare utopico, quest’ultimo è costruzione di una forma di idea mentale inesistente nella sua realizzazione, di cui si auspica il divenire reale. Il sognare è quell’immaginario agognato che parte dai desideri di “dentro” e ne fa poesia d’attesa.
E proprio per questo il più difficile da perseguire, da coltivare e da perdonare, quando abbandona. Io stessa ne ho vissuto ogni lembo di gioia quando è stato il volano di felicità raggiunte, così come di ferite sanguinanti quando è stato il miraggio infranto di vuoti lasciati.
Ciò nonostante, ancora oggi, pur disincantata, guardinga e forte del cammino di un mio percorso autonomo, ritengo sia la più bella tessitura di giorni che si possa dare alla vita.
Con la crescita di una donna che però ha maturato la concezione che anche i sogni vanno lasciati liberi, sorprendenti, finanche accettati ingannevoli, quando il mutare porta a indirizzare verso altre stelle da quelle bramate, a diversi lidi da esplorare. Quando capisci che la vita non decide su richiesta, ma sulla sua stessa imprevedibilità. Il solo divenire certo che consente. Ma che proprio per questo è ogni volta meta di viaggio aperto a qualsiasi incognita di scoperta, conquista, bellezza.
Il sognare, come il vivere, come l’immenso infinito del tutto possibile, anche nell’assoluto del niente. Il sognare, come il cullare vagiti di bimbi, che non hanno bisogno di nascere per essere figli da amare. Il sognare, una sorta di vita di fianco, che resiste anche quando non ci crediamo più.
E che invece torna, seduce, accompagna, innamora, con noi ogni volta a seguirne l’illusione della scia luminosa. Non sempre mantiene le promesse, ma le incarna e le rende immortali. Del resto, i sogni sono tali se arrivano dal cuore al cuore, è proprio questo che ne produce l’immaginazione. È proprio questa la relazione che può determinare quell’orizzonte sognante capace di travalicare la realtà. Qualcosa che non è incatenato dagli eventi, ma da fervida immaginazione che richiede solo aneliti di libertà.