di Alfredo Carosella
“Ti sei fatto il palazzo sul jumbo, noi invece corriamo sempre appresso all’ambo”, cantava Rino Gaetano in “Spendi, spandi, effendi” nel lontano 1977. Pochi anni prima era iniziata la crisi energetica innescata – in concomitanza con altri fattori – dalla Guerra del Kippur, quando l’Egitto e la Siria attaccarono Israele durante la festa ebraica dell’espiazione (Yom Kippur, appunto). I paesi esportatori di petrolio aderenti all’Opec sostennero l’azione Egitto-siriana, aumentando a dismisura il prezzo del barile e praticando l’embargo contro i paesi filo-israeliti. In occidente si ebbe una drastica battuta d’arresto allo sviluppo economico che dal dopoguerra in poi era stato costantemente in crescita e, per la prima volta, si parlò di recessione.
I paesi occidentali “scoprirono” di essere eccessivamente dipendenti dai paesi arabi per l’approvvigionamento del petrolio e furono costretti a correre ai ripari. La Norvegia trovò dei giacimenti petroliferi nel mare del Nord, mentre altri paesi europei avviarono un programma per la produzione di energia nucleare. L’Italia era già all’avanguardia nel campo di tale produzione, tanto da risultare il terzo paese al mondo dopo Stati Uniti e Gran Bretagna, con l’attivazione delle tre centrali nucleari di Latina, Sessa Aurunca (Garigliano) e Trino (Enrico Fermi) e la costruzione della centrale di Caorso. Poi, sulla spinta emotiva determinata dalla catastrofe di Cernobyl del 1986, l’80% degli italiani votò sostanzialmente contro la produzione di energia nucleare (i quesiti erano più articolati rispetto a un semplice “a favore/contro”).
Tornando alla crisi energetica, il presidente del Consiglio dei ministri Mariano Rumor, giunto al quarto dei suoi cinque mandati, varò un piano nazionale di “austerity economica” per il risparmio energetico: scattò il divieto di circolazione dei mezzi motorizzati nei giorni festivi, che prevedeva multe salatissime e il sequestro dei mezzi per i trasgressori; furono disposte la fine anticipata dei programmi televisivi e la riduzione dell’illuminazione stradale e commerciale. Furono istituiti i limiti di velocità su strade e autostrade, anticipate le chiusure di uffici e esercizi commerciali. L’Enel fu autorizzata a diminuire la tensione erogata tra le ore 21 e le 7 e ciò comportò, tra i vari disagi, il blocco temporaneo degli ascensori.
Il governo democristiano fu duramente attaccato dalle opposizioni di destra e sinistra, con l’accusa di aver adottato misure inutili per mera incapacità.
La crisi è passata e in tanti sono tornati a “spendere e spandere”. Si sarebbe dovuto fare molto di più per la salvaguardia dell’ambiente anche se è innegabile che ci siano stati dei cambiamenti importanti: lo sviluppo delle energie alternative, la promozione di materiali sostenibili, l’istituzione di aree protette, la diffusione della raccolta differenziata, giusto per citarne alcuni.
Veniamo ai giorni nostri: la prima ondata della pandemia ci ha colti impreparati, anche perché abbiamo “scoperto” che non avevamo aziende italiane che producessero le sospirate mascherine. Poi ci siamo accorti della carenza dei posti letto negli ospedali, frutto di tagli che sono stati operati per anni alla spesa sanitaria nazionale.
Chi ha potuto, si è goduto la tregua apparente dei mesi estivi.
Ora stiamo subendo una nuova crescita esponenziale dei contagi da coronavirus e tornano le misure che limitano la libertà personale: chiusure e divieti di spostamento.
Una parte crescente della popolazione rischia di perdere definitivamente il lavoro ed è già provata dalle limitazioni dei mesi scorsi. C’è anche chi sta sfruttando la situazione per costruirsi un “palazzo sul jumbo” ancora più grande.
La speranza viene da tutti coloro che lottano per il bene comune. Soprattutto dal personale sanitario che è in prima linea, e da quello scolastico che ha provato a tenere in piedi un altro bene primario: il diritto allo studio. Si pensi ad esempio a quel maestro napoletano che è andato a recitare le poesie di Rodari ai suoi allievi affacciati al balcone, impossibilitati a seguire la didattica a distanza.
Italiani brava gente. Basterà?