di Viviana Trifari
Vivere adozione e abbandono, estremo amore e disconoscimento, felicità e vergogna.

A 4 anni le fu confessato di essere stata adottata, a lei figlia, non cambiò nulla, se non esserne consapevole, la mamma visse l’abbandono e la vergogna come se lo sentisse da figlia, immaginandolo e mettendolo in scena. La figlia si fa madre e figlia di sé stessa, si attacca all’amore materno che ha vissuto per un po’, sa che sua madre non può essere andata lontano, dovrà ritornare. “Madre, dove sei andata?”

Una storia cruda e vera, una storia che ha partorito un dolore che se solo attecchisse in malo modo si trasformerebbe in cattiveria e cecità, e che invece Maria Grazia Calandrone ha saputo trasformare in parole e poesia, come una perla che emerge dal buio più nero.
Solo chi riesce a trattenere fiato e pazienza e amore, nonostante la “follia” delle cose, può scrivere e vivere con la fierezza e la dignità elegante dell’autrice.
Dovrò cercare le poesie della Calandrone, saranno di sicuro un’altra splendida lettura.