Su tre celebri personaggi eduardiani

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di Andrea Carpentieri

 

In queste settimane si parla tanto di Eduardo De Filippo, del suo teatro e soprattutto delle riprese che ne hanno fatto, in tempi recenti, Salemme e Gallo. Da amatore del teatro del Maestro, per omaggiarlo senza però nutrire pretese da critico di mestiere, propongo qui alcune riflessioni su tre suoi personaggi fragili, poco aderenti alla realtà, privi (in tutto o in parte) della capacità di comprenderla e di agire di conseguenza.

Luca Cupiello, “nato” nel 1931, sembra un bambino cresciuto male, un uomo incapace di decodificare i segnali, fra l’altro di solare chiarezza, che il mondo in movimento attorno a lui gli invia.

Luca crede che la sua famiglia sia fondamentalmente unita, salda, al più turbata da qualche piccolo screzio, senza accorgersi del fatto che:

– suo figlio è un soggetto da riformatorio, per quanto egli solo vada soggetto ad una evoluzione significativa (si veda, al riguardo, il gesto con il quale nel terzo atto lui, ladruncolo impenitente per due atti, restituisce a Concetta il resto della spesa  sostenuta per inviare un telegramma a Nicolino);

– sua figlia, prigioniera di un matrimonio infelice di cui incolpa i genitori, tradisce il proprio marito e medita di abbandonarlo;

– Concetta vede in Luca, e lo afferma apertamente all’inizio del secondo atto, non in preda all’ira ma in un momento di piena lucidità, il colpevole di tutto lo sfascio che si sta verificando;

– suo fratello ha un rapporto totalmente deteriorato con la cognata ed il nipote.

Venuto al mondo dell’arte circa 15 anni dopo con “Questi fantasmi”, Pasquale Lojacono è diverso da Luca, ma solo fino a un certo punto. In breve tempo comincia a credere a quei fantasmi rispetto ai quali inizialmente ostentava sprezzante scetticismo, non riuscendo – neppure lui – a capire cosa gli si muova attorno, vale a dire il tradimento della moglie (e due). Pasquale Lojacono non è Luca Cupiello, naturalmente: è più scaltro di lui, si difende da Raffaele ‘o guardaporta, risulta “vincente per errore” (un po’ come Zeno Cosini), ma rimane comunque un personaggio almeno in parte disancorato dalla realtà.

Non molto diverso da Pasquale è Gennaro Jovine, suo coetaneo e protagonista di Napoli milionaria. Seppure con la giustificazione di aver <<fatto l’altra guerra>>, Gennaro è isolato rispetto al contesto familiare di riferimento: non coglie il legame che c’è fra sua moglie Amalia e “Settebellizzi” (e tre!), afferma in modo perentorio: <<In casa mia non permetto questo commercio>>, riferendosi all’attività di borsa nera che pure vede svolgersi. Anche in questo caso, l’ingenuità infantile di Luca Cupiello è un pallido ricordo, perché Gennaro sa essere astuto e furbo, come dimostra il furto dei maccheroni con cui l’opera si apre e come dimostra, soprattutto, la scena della perquisizione sotto i bombardamenti. Eppure, anche in lui sembra persistere una certa incapacità di rapportarsi alla realtà, almeno a quella familiare, una semplicità ingenua che lo rende non a caso oggetto degli sfottò degli avventori del casalingo bar di donna Amalia.

Per cambiarlo, per renderlo riflessivo, silenzioso e al tempo stesso deciso a riprendere in mano il timone della propria famiglia servirà il grande lavacro della seconda guerra mondiale, così come la ricomposizione in “Natale in casa Cupiello” arriva solo dopo il malore fatale del protagonista.

Andrea Carpentieri è dottore di ricerca in filologia classica, ed ha al suo attivo diverse pubblicazioni nell'ambito degli studi di letteratura latina. Ex agonista nel karate, ha avuto la fortuna di vincere trofei e medaglie nazionali ed internazionali nella specialità del kumite (combattimento). Che si tratti di letteratura, lingue vive o morte o arti marziali, ogni giorno prova ad insegnare, cercando però, soprattutto, di continuare ad imparare.