Finalmente, l’Italia pallonara s’è accorta della magnificenza di Lorenzo Insigne.
Dopo tempi bui di talenti bruciati, creatività bocciata, terzini spacciati per fantasisti e mediani per trequartisti, eliminazioni premature e disfatte storiche, il talento del campione di Frattamaggiore s’è ripreso il centro della scena con uno splendido gol, realizzato peraltro in una partita piuttosto banale e contro un avversario decisamente modesto.
Ma si sa che l’opinione pubblica è schizofrenica e bizzarra: s’è dimenticata di Insigne per un anno intero, salvo celebrarlo nell’ultima partita della stagione.
Eppure, da agosto a maggio, il giocatore napoletano aveva già mostrato tutto il suo straordinario repertorio fatto di assist geniali, controlli di palla sopraffini, parabole imprendibili e rapide coperture sulla fascia sinistra. In pratica, Insigne è il prototipo del giocatore moderno capace di inventare giocate imprevedibili in fase offensiva ma anche di percorrere il campo a ritroso per rubare il pallone e ripartire.
Insomma, Lorenzo Insigne ha la classe di Ribery e la tenacia dell’Eto’o di epoca mourinhana, i lampi di Roberto Baggio e la visione di gioco di Totti. Possiede tecnica e corsa, muscoli e cervello, estro e umiltà. Gli mancano i centimetri ma va senza dire che il più grande di tutti non arrivava al metro e settanta.
Ora che a Napoli, qualcuno propone di assegnargli la maglia numero dieci, lui non potrà che ripensare ai momenti in cui nemmeno la sua gente aveva saputo apprezzarlo. Probabilmente, il carattere un po’ spigoloso, una sorta di autodifesa per non essere risucchiato da una città che troppo spesso divora i suoi figli, gli è servito per indossare una solida corazza, per andare dritto per la sua strada, per continuare a pensare e dispensare calcio seguendo solo istinto e intuito, silenziando le critiche e i preconcetti.
I fischi e gli insulti si sono magicamente trasformati in ovazioni. Le prodezze hanno piegato lo scetticismo del pubblico partenopeo, aristocratico nei giudizi e plebeo nelle espressioni ma soprattutto indulgente con gli stranieri e impietoso con i napoletani che vestono la maglia azzurra.
Insigne ha saputo e saprà lasciarsi tutto questo alle spalle. Il suo orizzonte è più ampio: vuol vincere lo scudetto e giocare i prossimi mondiali putiniani. Senza dimenticare che nelle magiche notti di Champions, la sua stella s’illumina come per incanto. Il suo proverbiale tiro a giro – un omaggio al suo idolo, Alessandro Del Piero – ha già mietuto vittime illustri in tutta Europa. L’ultima in ordine di tempo è stato Keylor Navas, il portiere della squadra che poi avrebbe trionfato nella finale di Cardiff.
In una notte umida di metà febbraio, nello stadio più affascinante del mondo, Lorenzo è diventato Insigne, il ragazzino impertinente di periferia s’è trasformato in un adulto, mostrando all’universo calcistico le stigmate del predestinato. Adesso, per lui che sa alla perfezione che il talento è un dono ma anche un fardello pesante da trasportare e affermare sul prato verde, il futuro non può essere che in discesa.