Vi riportiamo di seguito l’articolo delle colleghe Nicoletta Lucheroni e Mariateresa Belardo, pubblicato sul portale del TG Valle Susa http://www.tgvallesusa.it/?p=12337
Inizia anche così l’amicizia, scrivendo della propria terra. L’amicizia tra chi cerca di scrivere di Tav e chi scrive di Terra dei fuochi parte proprio dalla necessità di far sentire la propria voce. Due territori distanti 1000 km, due problemi diversi ma un’unica esigenza: quella di dire no allo scempio che subiscono da anni. Così ad aprile prendo l’aereo per Napoli, destinazione Succivo: piena Terra dei fuochi.
A conoscere la “collega”, Mariateresa Belardo, con la quale per mesi ho scambiato parole e idee sulle nostre case assediate.
Nessun rogo mi ha accolto. Mariateresa mi mostra i campi sequestrati e ad appena un metro i campi ad “agricoltura biologica” che continuano a produrre. Mi fa notare il colore dell’erba che cresce intorno a quei campi, di una strana tonalità di giallo.
A distanza di qualche mese mi rendo conto che nei Tg nazionali non se ne parla praticamente più. Emergenza finita? No, solo scalzata da tutte le altre notizie ed emergenze. Allora scrivo a lei. Le scrivo di spiegarmi che cosa succede, se si è mosso davvero qualcosa, se ci sono cambiamenti.
Mariateresa risponde: “Da più di due anni i riflettori sono puntati sulla Terra dei fuochi, grazie all’impegno di tanti, primo fra tutti don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, instancabile voce di questa battaglia civilissima che ha visto più di centomila persone scendere in piazza. Un fiume in piena, tutti insieme per raccogliere in un unico documento centinaia di istanze riguardanti le tante emergenze ambientali. Perché il problema della Terra dei fuochi non sono solo i roghi. Il fumo nero delle colonne di rifiuti smaltiti nelle campagne è stato il segnale più evidente, rivelatosi soltanto la punta dell’iceberg. Grazie al fumo, alla puzza persistente nell’aria, ci siamo svegliati. Abbiamo scoperto che intorno a noi c’era l’inferno. Rifiuti interrati, falde inquinate, inceneritori fuori legge, amianto, discariche senza controllo o militarizzate. I militari. Arrivano a difenderci, a proteggerci. Ma proteggere chi, da che cosa? E perché? Perché, se proprio loro sbarravano la strada alle Mamme vulcaniche, l’associazione di volontarie di Terzigno che volevano solo proteggere i loro figli da una cava che esala veleni? Perché l’esercito a Chiaiano, dove i volontari si erano opposti, per poi avere conferma di collusioni fra i militari stessi, e imprenditori legati ai clan camorristici? Non è con i militari che si risolveranno i nostri problemi.
Iniziate dai controlli sulle aziende, che producono in nero e smaltiscono illegalmente. Iniziate da chi, nelle campagne, ha sversato veleno: aziende del Nord, politici corrotti, forze dell’ordine inesistenti e inconsistenti, che hanno preferito, e ancora preferiscono, girarsi dall’altra parte. Spiegateci perché ci vuole tanto a tracciare i transiti di rifiuti, a chi hanno giovato le emergenze spazzatura, quali mostruosità dovevano essere coperte nelle discariche che dovevano solo ospitare la “normale” immondizia di un popolo che, quanto a civiltà, non ha mai avuto nulla da invidiare a nessun altro. Spiegateci, per favore, perché i politici passano di qua, si tappano il naso, e guardano disgustati scuotendo la testa: “Faremo, diremo, provvederemo, nel minor tempo possibile”. Spiegateci perché non è cambiato ancora nulla. Perché serviamo solo quando c’è da votare. E perché siamo costretti a fare ironia sulla nostra stessa tragedia. Abbiamo dovuto mostrare al ministro Galletti, passato da Caivano, un cavalluccio rosso, per ricordargli il film di Luciano De Crescenzo e una storia che veniva ripetuta tre, quattro, dieci volte.
Questa storia non vorremmo più raccontarla. Non è possibile che dopo esserci sentiti dire che l’aumento delle patologie tumorali non è riconducibile all’inquinamento, che in Campania gli abitanti fumano e mangiano troppo e fanno poco sport, poi si sequestrino terreni agli agricoltori utilizzando, per giustificare i sequestri, tabelle con parametri di riferimento assurdi. Se abbiamo campagne avvelenate, come ha dichiarato Schiavone, vogliamo sapere quali sono, e i primi a volere chiarezza sono gli stessi agricoltori. Additati come assassini scellerati, che vorrebbero commercializzare prodotti avvelenati o come i responsabili dei rifiuti sepolti invece da proprietari terrieri senza scrupoli che si sono venduti “per un piatto di lenticchie”. E il Governo che fa? presenta un report impreciso e lacunoso, da cui emerge che solo il 2% del territorio della Terra dei fuochi è inquinato. “L’emergenza della Terra dei fuochi in fondo non esiste, abbiamo effettuato degli studi”. Ma dove e quando li avete fatti, questi studi? su quali terre?
Chi scrive vive a Succivo, comune con uno dei siti classificati a rischio inquinamento 5. Il sito in questione lo conosciamo tutti, non si sono inventati nulla, e non sono venuti oggi a fare i rilievi. Gli studi a cui si fa riferimento per Succivo risalgono al 2006, è roba già nota. Nessuno garantisce che non ci siano altri terreni avvelenati, però. A Succivo ci si ammala e si muore di più che altrove. Spiegateci come mai. “È solo un inizio” ci è stato detto. Come inizio, lascia molto a desiderare. È come prendere un gregge, individuare la pecora più vecchia e malata, metterci una croce sopra, e dire che le altre stanno tutte bene. Così, ad occhio. Dovremmo essere più tranquilli, soprattutto sapendo che Orta di Atella, comune adiacente che nel report del ministero dell’agricoltura non compare proprio, è uno dei comuni dove l’aumento delle patologie tumorali, secondo l’Istituto Pascale di Napoli, è fra i più preoccupanti. Ma la gente, la povera gente, che se ne fa di studi, di report, di statistiche e percentuali?
Noi al Pascale ci andiamo, terrorizzati, a fare le TAC, o la chemioterapia, e siamo diventati tutti esperti a citare nomi difficilissimi di malattie che ci strappano gli affetti più cari. Siamo spiacenti, ma per noi leggere nero su bianco che nei nostri comuni si muore di più, è come fare la scoperta dell’acqua calda. Lo sapevamo dai manifesti che tappezzano le strade, dalle bare che abbiamo accompagnato, dai rintocchi delle dalle campane a morto che suonano ogni giorno. Mi piacerebbe poter scrivere che dopo la notte buia si intravede l’alba. Don Maurizio, i volontari, gli attivisti, e quanti documentano in ogni modo quello che accade in questa terra, continuano il loro lavoro senza lasciarsi scoraggiare, come solide querce dinanzi alle intemperie. Poco, o nulla, è stato fatto concretamente da chi doveva, a tutt’oggi”.
Dal 14 ottobre ricominceranno le attività del Coordinamento Comitati Fuochi. Sta di fatto che la situazione è in stallo. Non è stato fatto praticamente nulla e la popolazione aspetta, giustamente, risposte e soprattutto interventi efficaci.