Una volta all’anno, nel mezzo del deserto del Nevada negli Stati Uniti, si radunano hippy, anarchici e anticonformisti di ogni genere per il Burning Man, un festival all’insegna della trasgressione mixata sapientemente con arte, musica e, negli ultimi tempi, anche glamour con la partecipazione di molte star, modelle e cantanti, tutti vestiti in maniera sregolata e futuristica.
Viene costruita ad hoc una città nel deserto rovente, Black Rock City, metropoli anarchica e autosufficiente, in grado di ospitare un limite di 70 mila persone circa, le quali, per la durata del festival -una settimana a fine agosto in corrispondenza della chiusura del Labor Day americano-, non potranno scattare foto, usare smartphone, indossare abiti firmati o almeno farlo ma coprendone i marchi, girare in auto, e fare tutto ciò che appartiene a una società consumista e conformista; non potranno neppure scambiarsi denaro, ma soltanto utilizzare il baratto. Vi può partecipare chiunque, anche se il costo del biglietto di 350 dollari (che può salire anche a mille) è abbastanza estremo, così come lo è il posto raggiungibile in un minimo di 9 ore di auto dalla cittadina più vicina.
Quindi, almeno economicamente, non è proprio adatto ai comuni mortali!
Durante questi giorni, il programma è libero: ci si attrezza per sopravvivere con camper, generatori, scorte di cibo ed acqua, allestimenti vari, esibizioni. Si condivide soltanto l’evento di chiusura: un falò, in cui si incendia un enorme e spaventoso manichino di legno, il Burning Man appunto, gesto che attesta la catarsi di tutti gli spiriti liberi partecipanti.
E dopo essersi rigenerati spiritualmente, un’altra regola fondamentale da rispettare in questa manifestazione è quella di purificare anche l’ambiente, cancellando qualsiasi traccia lasciata, e cercare di lasciarlo così come è stato trovato.