di Tommasina D’Onofrio
L’ultima volta che sono rimasta così senza fiato fu all’ottantottesimo minuto di Juventus Napoli del 2016 quando, dopo aver giocato una partita equilibrata, arrivò, puntuale come la beffa, il goal di Zaza e una pesantissima sconfitta. Ricordo che io e mio padre eravamo sul divano, increduli, e senza riuscire a dire altro, ci guardammo in faccia e commentammo: è incredibile!
Ecco, l’altra sera è stato così. Dopo un’esplosione, durata quattro settimane, di colori, suoni, immagini, emozioni, lacrime e qualche perplessità, è finito The New Pope. E io mi sento già più sola.
Gli ultimi venti minuti, da soli, valgono l’Oscar. Il ritorno prepotente di Pio XIII, il ritiro inevitabile di Brannox e il suo personale lieto fine, e tutti i tasselli che man mano tornavano al loro posto mentre Sorrentino, quel gran genio di Sorrentino, ci teneva col fiato sospeso e con gli occhi incollati allo schermo. Perché sì, ancora una volta, il capolavoro è suo.
Punto primo è riuscito in una seconda serie a non far rimpiangere la prima, il che non è mai opera facile, né scontata. E poi perché, da bravo direttore d’orchestra (in tempi di Sanremo), ha lasciato che ogni “strumento” nelle sue mani desse vita a una meraviglia d’insieme. John Malkovich ha egregiamente fatto da reggente ad un indimenticabile ed indimenticato Jude Law finché non è tornato con tutte le sue caratteristiche. Da quel momento in poi, in effetti, ritornano con lui le colonne sonore, i dialoghi, la fotografia, le immagini e le parole della “sua” prima serie e si ha la netta sensazione di essere a casa, nel posto giusto.
È con il ritorno di Pio XIII, infatti che, a mio avviso, si disvela il vero Sorrentino. Già dalla sigla, vecchia solo nella parte sonora, pronta ad annunciare che un nuovo Lenny, sempre più uomo e sempre meno papa, sta tornando. Insieme ad un nuovo vecchio Voiello: il Napoli vincerà lo scudetto, la Champions o l’Europa League? Queste sono le sue, ma anche le nostre domande in fondo.
I nostri settimanali turbamenti a cui torniamo volentieri, per sentirci meno soli. Personalmente, però, dopo questa serie mi sento più ricca. Ricca di emozioni da rivivere e ricordare, ricca della consapevolezza che il cinema italiano, grazie all’estro di un napoletano (con Silvio Orlando sono due), è in buone mani. Ricca perché, ve lo giuro io non volevo spoilerare, ma vedere un bimbo sul triciclo che attraversa un corridoio dopo il maestro Kubrick, senza sentirne la mancanza, è arte! Per tutto il resto, ha ragione Voiello: Pio…e rutt o cazz!