- di Sara Cerreto
Io non ho ucciso Tiziana Cantone.
E vi dirò di più, non sono stati nemmeno il web, la moderna società maschilista o chiunque abbia diffuso il video che si è propagato a macchia d’olio in tutto il cyber spazio.
Conosciamo tutti la triste vicenda che vede come protagonista la bella Tiziana, così come tutti siamo a conoscenza delle opinioni di coloro che si sono arrogati il diritto di averne una.
La verità è che, per poter avere un’opinione in merito ad una vicenda, bisogna, e scusate il gioco di parole, conoscere il merito della vicenda.
Cosa sappiamo di preciso di Tiziana? Fatti? No. Sappiamo, quelle che, giuridicamente, possono soltanto essere definite ‘supposizioni’.
Tiziana, come lei stessa ha dichiarato in tribunale, aveva inviato il video incriminato a cinque uomini. Questo è, nè più nè meno, tutto ciò che di certo sappiamo a proposito di questa vicenda.
Tutto il resto è stato estrapolato da opinioni di persone a lei vicine, teorie dei social addicted e idee basate praticamente sul nulla cosmico.
Non sappiamo se Tiziana volesse o meno che il video diventasse virale.
Non sappiamo se, nel momento in cui l’ha inviato a queste cinque persone, abbia peccato più di ingenuità che di narcisismo. E, nel caso in cui si trattasse soltanto di narcisistico ed egocentrico desiderio di veder diffondere la propria performance, non sappiamo se avesse o meno cambiato idea in seguito, quando il danno era già stato fatto.
Chiunque abbia espresso un’opinione in merito a questa vicenda, puntando il dito contro i giudici che non le hanno concesso il diritto all’oblio o che l’hanno condannata a pagare 20.000 euro di spese processuali, prendendosela con la società maschilista in cui viviamo, incolpando i social, ha peccato, a mio avviso, di presunzione. Eh sì perchè, sindacare e sentenziare su di una vicenda, senza avere in mano uno straccio di elemento certo e concreto sulla vicenda stessa, è presunzione.
Non può esser stata la società maschilista, sempre ammesso che esista davvero una società maschilista, ad uccidere Tiziana. Al massimo ad ucciderla sarà stato il fatto che Tiziana stessa non ha retto il confronto con la società maschilista. Un esempio lampante di come bisognerebbe affrontare la società che a tante, più che a tanti, piace definire ‘maschilista’, ci viene offerto da una pornosar del napoletano, la bella Valentina Nappi. La Nappi è sempre rimasta ferma nelle sue idee pur avendo, molto probabilmente, ricevuto milioni di offese ed insulti e pur essendoci numerosi meme che la ritraggono, esattamente come è avvenuto a Tiziana. Certo, potreste obiettare dicendo che Valentina Nappi è una pornostar e, tutto ciò che ha fatto lo ha fatto volontariamente, incluso prestare il suo ovvio consenso alla diffusione dei suoi video. Ma la verità è che non possiamo esser certi che Tiziana questo consenso non l’abbia mai prestato.
Non possono essere stati i giudici ad uccidere Tiziana, hanno fatto null’altro che il proprio lavoro. Tiziana, in un processo equo, davanti ad un giudice terzo ed imparziale, si è vista rigettare in pochi mesi la richiesta di interruzione e l’inibizione futura della divulgazione dei famosi video su una decina di siti online e social network per il semplice fatto di aver ammesso lei stessa di aver prestato il consenso alla diffusione del materiale sopracitato.
E, vi dirò, non sono stati nemmeno i cinque uomini ai quali lei aveva inviato i video ad ucciderla. Perchè, se io diffondo un video, senza il consenso dell’interessato che però me lo ha inviato volontariamente, sono responsabile di averlo inviato ad una persona X e soltanto di questo. Se, a sua volta, questa persona X lo invia ad Y, sarà responsabile solo e soltanto di ciò che ha fatto, non anche dell’uso che Y ne farà del video, e così via. Un esempio molto alla lontana potrebbe essere quello del tamponamento a catena. Ognuno cita sulla lettera all’assicurazione colui che lo ha tamponato, fino a risalire al veicolo che ha dato il LA a tutto. Ma, nello specifico caso di Tiziana, è proprio lei stessa ad aver dato avvio alla diffusione del video. Se il primo violino dell’orchestra che ha dato il LA a questa sinfonia malata che si è diffusa come un cancro nella rete dovrà rispondere di qualcosa, sarà ‘soltanto’ di aver inviato un video senza il consenso dell’interessata ad un altra persona. Non si potrà erigerlo a capro espiatorio di tutta la vicenda.
Ultimo ma non ultimo, non è stato il web ad uccidere Tiziana. Non sono stati gli haters e non sono stati i meme. Per il semplice fatto che, affermare ciò, significa non affermare nulla. Una contraddizione paradossale: se sono stati tutti, allora non è stato nessuno. Come lo porti tutto il web in un tribunale?
Ciò che possiamo affermare con certezza è che, ad uccidere Tiziana è stato, materialmente, un foulard e, psicologicamente, un’eccessiva pressione data dall’improvvisa e, forse, non voluta notorietà.
Le chiacchiere, le opinioni, e tutte le Selvaggia Lucarelli del caso, stanno a zero.