di Enrico Ariemma
Qualsiasi cosa riguardi Pino Daniele è occasione di un bilancio personale, come quello di colui che ha visto la vita scansionarsi e compartimentarsi illuminata, rischiarata, abbacinata da quella musica e quelle parole.
Un bilancio.
Un ripensare uomo che muore e all’artista che rimane, all’ “armonia / che vince di mille secoli il silenzio”, alla presenza pervasiva che il trapasso accentua, non oblitera. In questo senso, il tributo di ieri, a freddo e dopo qualche ora di amplesso selvaggio con Morfeo, mi pare un po’ meno lercio, anche se colpevolmente diseguale.
Lasciamo perdere, che so, la pena di un Antonacci, o qualche ex ragazzina divenuta donna ma non interprete: ma, ahimè, Ramazzotti e Jovanotti li aveva voluti lui in tournée con sé, sono musicisti veri, che tuttavia in quell’anima non riusciranno mai a calarsi, io Jovanotti che dice “facimmo o burdello” senza sapere che cazzo significhi veramente bordello (con la o) perché non ha letto Fuoco su Napoli l’avesse pigliato a paccheri.
Ora, pur stendendo pietoso velame sulla tristezza, dei comici, anche napoletani purtroppo, però effettivamente il moderno ossimorico classicismo di Ranieri, la matronale eburnea regalità della Mannoia, il baglionismo autoreferenziale e ossessivo di Baglioni, il manierismo acronico e confortante delle sue band, la saggezza calma e serena della generazione del’50, che canta canzoni proprie e fa bene (De Gregori, Venditti, Baglioni stesso), l’incrocio barocco-decadente-crepuscolare di Gragnaniello, quello si può salvare eccome, pur entro le linee di un clima di strapaesano naufragio da birra e salsicce.
Poi ci sta la gara social, gente che si rimbecca a botta di radicalchic, no radicalchic sarà lei, Pino è Pino, ma no era un omaggio che ne sai tu che stavi sul divano, ma qua sono solo stronzi che fanno a gara come quando si parla di pallone o di politica senza sapere dove stanno di casa il pallone e la politica, uno prende un totem, lo brandisce e stop, ma di questi trilloni da semaforo si tace: “Eorum ego vitam mortemque iuxta aestumo, quoniam de utraque siletur”, dice quel tale, traduzione on demand.
Proviamo solo a parlare di musica con strumenti e un minimo di senso della storia.
La città ha custodito con straordinario senso di proiezione la memoria di chi ne è stato anima e interprete, di chi ne ha cambiato, scientemente, progettualmente, umori e cultura, arrivando dritto a ogni singolo membro della comunità, non meno di e diversamente da Totò, Eduardo, Massimo Troisi, Raffaele Viviani; e infatti l’omaggio a Pino, quello vero, rimane la forma del flashmob, dove c’ero e so cosa ho visto, sentito, provato.
Ora, Pino Daniele è stato un lungimirante con la colpa, non sempre felice, dell’apertura a volte eccessiva, e la lungimiranza rimane, a mio parere, il suo lascito più vistoso, e infatti, da avanguardista in servizio permanente effettivo (proprio nel senso di uno che sta trentanni, o dieci, o quanti uno ne vuole, avanti), ha reso metodo lo spostamento in avanti dell’asse epistemologico, ha impresso accelerazioni a certe direzioni dell’arte, viaggiando sempre sul filo del rasoio di quella “tensione in avanti” che apre strade, rivela tendenze, definisce obiettivi, e qua non si tratta di magnificare gli impasti sonori o la creatività innovativa partoriti intercettando Chick Corea, Wayne Shorter, Eric Clapton o, perché no,“abbassandosi” fino a J-Ax, qua si tratta di puntualizzare che Pino voleva capire, e capire sperimentando, con la controindicazione che purtroppo, in mezzo a un’ansia conoscitiva che lo rende titano, ha dato confidenza a troppi.
E proprio per questo è venuto fuori il il cocktail maldestramente shakerato di gente che stava al suo posto e gente che non doveva esserci, e così si è imputtanata una occasione.
Un tributo non è ‘o burdello che dice il ruffiano Jovanotti, ma una occasione culturale, e allora si doveva buttare fuori Amoroso Emma Volo Zampaglione Turci e forse pure Sangiorgi, al quale è stato oscenamente consentito di farsi un concerto tutto suo, e buttare dentro Metheny, Clapton, tre quarti di storia dei Wwather Report, e soprattutto NAPOLI, nelle sue varie anime, incluse, vado random, Antonio Onorato come GiggiDalessio, Liberato come Monica Sarnelli, i Cantori di Posillipo come Franco Ricciardi, eccetera, eccetera, eccectera e ancora eccectera, insomma le anime per avere Anima. Quello sì, sarebbe stato un bilancio serio, un omaggio che avrebbe fatto epoca e avrebbe prodotto cultura, avrebbe dimostrato che del classico ogni lettura è una rilettura, laddove invece si è contrattualizzata gente che venderà meglio i suoi dischi.
Si poteva, davvero, camminare in cinquantamila “mmiezo ‘a via parlanno ‘e liberta”, perché avvicinare un classico, e Pino Daniele è un classico, noi lo ascoltiamo ma lui legge noi dicendoci chi siamo stati, cosa siamo, cosa potremo essere, avvicinare un classico è, sempre, una esondante esperienza di liberazione, e invece ci siamo sorbiti, oltre a una sequenza da guinness di rasoiate su tele immortali, di guano a manetta su monumenti protetti, una pletora senza risparmio di patetici “ciao Napoliiiiiii” e “ciao PInooooo”.
Ma nun ce scassate ‘o cazzo.