di Claude De Bray
Che la mia considerazione per il genere umano, essenzialmente di questo tempo, sia posta poco lontano dal cestino dell’indifferenziata, ovvero mi è del tutto indifferente, è un dato risaputo da chi mi conosce.
Che nutra un senso di disgusto per la razza dei politici è altrettanto scontato e non credo di essere il solo.
Dunque la conclusione più ovvia che scaturisce dalle due precedenti affermazioni mi dovrebbe relegare tra quelli che dissentono, ovvero un dissidente.
Sono un dissidente atipico, scelgo il silenzio, la notte, soprattutto perché non vorrei essere deportato in un gulag o al confino visto i tempi che corrono.
Non giudico, mi limito a fare delle considerazioni del tutto personali che mi conducono inesorabilmente in quella spirale, giduglia, che giunge sempre alla stessa conclusione; il nulla.
Si può nella storia recente evitare di imbattersi nella tracotanza, stupidità, scelleratezza, inettitudine, incompetenza della classe politica mondiale senza essere tacciato per populista e dunque ricadere nella loro stessa rete imbastita di proclami, editti, e sventolio di panacee che risolvono tutti i mali di questo tempo?
Come, chi, quando e dove sono partorite queste menti che rasentano il ridicolo, l’idiozia e che hanno quale fine il potere e recentemente anche la supremazia?
La domanda che vorrei porre a questi inetti quanto scaltri è una sola; come vi sentite in qualità di esseri, come fate a dormire la notte, come fate ad accarezzare i vostri figli o nipoti, la vostra coscienza dove la riponete quando decidete di migliaia di vite umane, quando ignorate i bisogni della gente o quando relegate nella povertà schiere di donne e uomini, anziani, bambini, disabili?
Dove relegate finanche la vostra viltà continuando a mantenere la ricchezza in mano ad uno sparuto nugolo di persone evitando di ridistribuire quella ricchezza che di certo non li renderà più poveri ma certamente migliori?
“ tutto sommato non fate una vita di merda “ così un uomo d’amore classificò il malaffare, la malavita; perché in fondo si tratta proprio di vivere male, fare una brutta vita temendo l’ennesima condanna che vi relegherebbe all’ oblio.
Schiavi di bramosia, con un egocentrismo sfrenato, quando parlano si compiacciono di aver, ancora una volta, abbonito il popolo.
Si sentono più intelligenti, si compiacciono di sé stessi e della loro furbizia che scambiano per intelligenza; è questo che mi fa veramente paura tanto nei politici quanto in quella parte di popolo che si crogiola nella loro astuzia.
Un tempo erano tutti Charlie, poi tutti naufraghi ora tutti nazionalisti o palestinesi; intanto personalmente mi sento un poco talebano, nel senso di discriminatorio, fuori dal coro.
Dunque se non sono stato ancora del tutto chiaro non faccio differenza tra un mafioso e un politico, sono la stessa identica razza, un cancro, un saprofito da cui è impossibile sfuggire in quanto muta forma, capace di indossare qualunque abito, divisa, maglietta e cappello e finanche sventolare la bandiera che più gli è congeniale.
Non ho usato a caso il termine “saprofito”, visto che è un organismo che si nutre di materia organica morta o in decomposizione.
Alla fine il mio pensiero giunge sempre nel medesimo punto della giduglia; tutta questa accozzaglia si nutre di noi che non siamo, ancora, consapevoli di essere in decomposizione o morta agli occhi di queste entità monocellulari che contro ogni ragionevole previsione riescono a sovrastarci.
Siamo dunque morti solo ai loro occhi oppure siamo morti senza accorgercene, incapaci seriali meno giustificabili di loro visto che in un modo o nell’altro su quegli scanni li abbiamo messi noi.
Sapete cosa veramente mi nutre ancora di una flebile speranza? I dissidenti, le nuove e fervide menti capaci di ribellarsi forti della loro incoscienza!
Tanti anni fa un gruppo di talebani, sempre intesi come discriminati, per un meraviglioso e fortuito caso si incontrarono; erano quattro ragazzi di cui uno canadese, che formarono un gruppo CSNY, “quattro strade che si incociano- 4 way street“ un doppio LP storico, che ne fece di strada da Woodstock, dalla denuncia della guerra del Vietnam fino agli anni della guerra in Iraq che fece ricostituire il gruppo sempre in preda ad incompatibilità con uno dei brani più controverso e di denuncia nei confronti di Busch “Let’s Impeach The President”
Furono gli unici in America a tradurre in brani tutto quello che a quei tempi accadeva in America; l’America delle contestazioni e delle repressioni furiose contro gli studenti, delle morti e delle stragi che avvennero a quel tempo che fino a pochi giorni fa sembrava acqua passata.
Invece quelle braci sopite si sono risvegliate e ardono nei ragazzi delle università che incoscienti e ribelli si dimenano, protestano, contestano.
Non hanno però, come allora, centrato il vero motivo e la contestazione pro-Palestina è solo la punta dell’iceberg, solo l’ennesimo stupro all’umanità.
Vivono un noumeno, la consapevolezza che in qualche modo il mondo li stia fottendo alla grande, stesso filo conduttore che ci riporta al G7 di Genova e prima ancora a quel ’77 di Bologna.
Mai come oggi CSNY reclamano il loro posto di dissidenti oggi come allora, brani come Ohio, Chicago, Find the cost of Freedom e tanti altri sono forse più attuali di allora, ascoltateli se potete, sarebbe l’unica nota di bellezza in questo tempo stonato.