Quello di domani è, per davvero, un esito incerto: i sondaggi non sono in grado, infatti, di prevedere, in modo chiaro, la vittoria di Trump o della Clinton per la Presidenza degli Stati Uniti d’America.
In un nostro precedente articolo, abbiamo scritto che siamo in presenza dei due peggiori candidati possibili per la Casa Bianca.
La campagna elettorale successiva ha dato ragione al nostro primo giudizio: da una parte, Trump che riprende la tradizione guerrafondaia della storia del movimento repubblicano e della Destra americana, fortemente all’insegna di uno spirito nazionalistico, che potrebbe portare gli USA ad incrociare, a breve, le armi con la Russia.
Dall’altra, la moglie dell’ex-Presidente americano Clinton, responsabile di aver guidato ed assecondato i movimenti di ribellione nel Nord-Africa, da cui è derivata la furia migratoria da cui l’Europa e l’Italia, in particolare, non sono capaci di tutelarsi, visti i continui ed incessanti sbarchi sulle coste del Mediterraneo.
Peraltro, in questa campagna elettorale è intervenuta in modo massiccio l’FBI, il principale Servizio Segreto statunitense, a dimostrazione del fatto che, finanche, la più evoluta democrazia al mondo può essere esposta al pericolo di intromissioni da parte di poteri, che – per loro definizione – sono antidemocratici.
Per chi fare il tifo, allora?
Diviene difficile, obiettivamente, scegliere fra candidati di secondo livello, visto che, certo, nessuno dei due si prefigura come il novello Kennedy o il nuovo Reagan.
L’Europa, però, non può rimanere alla finestra, perché, in un caso o nell’altro, è evidente che gli Stati Uniti, sia pure in forme diverse, vorranno ristabilire antichi rapporti di forza con il nostro continente.
L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, ineluttabilmente, indebolisce l’Europa, che al momento è egemonizzata dalla Germania della Merkel, dato che la stessa Francia non è in grado di sviluppare una concorrenza seria allo strapotere tedesco.
In tale contesto, l’UE dovrà essere capace di creare un’unica politica estera, che ci appare un mero sogno, visto che gli interessi dei trentatré Paesi sono molto diversi fra loro e, spesso, necessariamente divergenti.
La nostra classe dirigente, dal canto suo, vive in questo frangente una fase – non felice – di possibile, ma difficile assestamento, che troverà il suo momento di verifica nel referendum del prossimo 4 dicembre, visto che, in caso di vittoria renziana, il Governo potrà continuare il suo mandato fino alla fine naturale della legislazione nel 2018, ma, in caso di sconfitta, si apriranno scenari difficilmente oggetto di una nostra previsione odierna.
In tale contesto, potremmo trovarci fra un mese ad avere un nuovo Presidente del Consiglio, che dovrà ridefinire il ruolo del nostro Paese nell’Unione Europea e, soprattutto, nei riguardi dell’alleato americano, visto che l’atteggiamento servile degli ultimi mesi di Renzi verso Obama non appartiene affatto alla tradizione del nostro essere Italiani.
Forse, la Clinton è preferibile a Trump?
Per stile, certamente sì ed, al momento, solo di questo ci possiamo accontentare.