È evidente che, nelle prossime settimane, si consumerà una svolta, ancora, più forte di quella che, già, si è prodotta in questi giorni. La scissione del PD, con la fuoriuscita dei parlamentari vicini alle posizioni di Bersani e D’Alema, creerà un effetto domino, i cui effetti non sono – tuttora – prevedibili.
La stessa indizione, per il prossimo 30 aprile, delle primarie per il nuovo segretario del PD non può che accelerare un processo di scomposizione, che è ormai nei fatti.
Se, infatti, Renzi accorciando la prospettiva temporale del confronto all’interno del suo partito, ha inteso limitare i danni e rilegittimarsi nella più breve contingenza possibile, per altro verso la sua scelta non può che suscitare le ansie scissionistiche di chi, ovviamente, non intende cedere a chi, oggi, nel Paese non ha più l’appeal di qualche tempo fa.
È ovvio che le fibrillazioni, dunque, non possano che amplificarsi, portando lo stesso esito delle primarie di aprile ad essere incerto.
La candidatura di Orlando, che inizialmente sembrava un mero sostegno allo stesso Renzi, sta prendendo sempre più piede, perché consente che si aprano degli scenari nuovi sia per il PD, che per l’intero Centro-Sinistra.
Il Ministro di Grazia e Giustizia raccoglie intorno a sé il consenso di una generazione di giovani quarantenni, che – in questi ultimi tre anni – hanno condiviso responsabilità di gestione del PD insieme ai renziani, ma è evidente che la loro matrice culturale sia ben diversa da quella dell’ex-Premier.
Peraltro, Orlando molto saggiamente si propone, esclusivamente, per la Segreteria del partito, contrariamente a Renzi, che, in caso di elezione, sarebbe il candidato naturale per il Premierato per il 2018.
Dunque, Renzi gioca una partita per due incarichi, Segreteria e Premierato, mentre Orlando si limita alla candidatura per la leadership del partito, lasciando una casella libera, che potrebbe fare gola a molti altri autorevoli esponenti del PD, da Gentiloni a Letta, da Franceschini a Martina.
È chiaro, quindi, che egli ha una capacità di aggregazione intorno alla sua candidatura molto più ampia di quella di Renzi, che può blindare solo i renziani in senso stretto e deve negoziare il consenso delle altre correnti interne intorno alla distribuzione di incarichi minori.
Chi vincerà, allora?
Forse, Renzi il pantocratore o il mediatore Orlando?
Certo è che i prossimi due mesi saranno interessanti per chi osserva e scrive di politica, ma soprattutto si capirà se il Paese può, invero, assumere una piega molto diversa da quella infelice degli ultimi tre anni.
La stessa indizione, per il prossimo 30 aprile, delle primarie per il nuovo segretario del PD non può che accelerare un processo di scomposizione, che è ormai nei fatti.
Se, infatti, Renzi accorciando la prospettiva temporale del confronto all’interno del suo partito, ha inteso limitare i danni e rilegittimarsi nella più breve contingenza possibile, per altro verso la sua scelta non può che suscitare le ansie scissionistiche di chi, ovviamente, non intende cedere a chi, oggi, nel Paese non ha più l’appeal di qualche tempo fa.
È ovvio che le fibrillazioni, dunque, non possano che amplificarsi, portando lo stesso esito delle primarie di aprile ad essere incerto.
La candidatura di Orlando, che inizialmente sembrava un mero sostegno allo stesso Renzi, sta prendendo sempre più piede, perché consente che si aprano degli scenari nuovi sia per il PD, che per l’intero Centro-Sinistra.
Il Ministro di Grazia e Giustizia raccoglie intorno a sé il consenso di una generazione di giovani quarantenni, che – in questi ultimi tre anni – hanno condiviso responsabilità di gestione del PD insieme ai renziani, ma è evidente che la loro matrice culturale sia ben diversa da quella dell’ex-Premier.
Peraltro, Orlando molto saggiamente si propone, esclusivamente, per la Segreteria del partito, contrariamente a Renzi, che, in caso di elezione, sarebbe il candidato naturale per il Premierato per il 2018.
Dunque, Renzi gioca una partita per due incarichi, Segreteria e Premierato, mentre Orlando si limita alla candidatura per la leadership del partito, lasciando una casella libera, che potrebbe fare gola a molti altri autorevoli esponenti del PD, da Gentiloni a Letta, da Franceschini a Martina.
È chiaro, quindi, che egli ha una capacità di aggregazione intorno alla sua candidatura molto più ampia di quella di Renzi, che può blindare solo i renziani in senso stretto e deve negoziare il consenso delle altre correnti interne intorno alla distribuzione di incarichi minori.
Chi vincerà, allora?
Forse, Renzi il pantocratore o il mediatore Orlando?
Certo è che i prossimi due mesi saranno interessanti per chi osserva e scrive di politica, ma soprattutto si capirà se il Paese può, invero, assumere una piega molto diversa da quella infelice degli ultimi tre anni.