È chiaro che il PD, citando il titolo di un celebre film di Pedro Almodovar, sia un partito sull’orlo di una crisi di nervi e non solo. Infatti, l’approssimarsi del voto delle primarie ha messo in moto un meccanismo, che non si sa bene dove può portare. Da una parte, c’è un Segretario uscente, Renzi, il quale chiede un plebiscito in suo favore, per tornare in sella e guidare il PD in modo autocratico, così come ha fatto nel corso dell’ultimo triennio. Dall’altra parte, ci sono due sfidanti, Emiliano ed Orlando, che giocano una partita non facile. Il primo, dopo aver flirtato con gli scissionisti di D’Alema e Bersani, è rientrato nel PD per tentare la carta delle primarie, ma è ovvio che, dei tre candidati, appaia quello più debole. È, invece, in crescita la candidatura di Orlando, per diversi motivi. Innanzitutto, rappresenta un’area del partito, quella di tradizione ex-comunista ed ex-socialista, che è molto radicata, in particolare, in alcune regioni del Paese, dove Orlando dovrebbe sconfiggere, in modo facile, Renzi. Inoltre, appare il candidato dell’unità del partito, perché, con i suoi toni moderati e con il suo stile, è in grado di fare bene, laddove ha fallito Renzi: non è, certo, un fattore di divisione la sua candidatura, che potrebbe, anzi, essere motivo di ritrovata unità, qualora egli riuscisse a catalizzare, finanche, il voto dei fuoriusciti. È ovvio che i fatti di cronaca, in questa partita, sono decisivi: la vicenda giudiziaria, che ha colpito il padre di Renzi, non può che indebolire ulteriormente il Segretario uscente, che invero non ha brillato per coerenza negli ultimi mesi, dal momento che sarebbe stato preferibile, per lui e per il partito, che dopo la sconfitta del 4 dicembre avesse fatto un serio e compiuto passo indietro. Peraltro, la vicenda delle primarie non può che avere riflessi sulla vicenda governativa: Gentiloni dovrebbe governare fino al 2018 nel caso di vittoria di Orlando, mentre potrebbe essere costretto a dare le dimissioni, qualora Renzi decidesse di andare alla urne, dopo l’eventuale sua vittoria alle primarie. Lo stesso Orlando è un Ministro del Governo Gentiloni, per cui la disputa fra orlandiani e renziani si trasferisce dal partito alla compagine governativa e ciò non può che esporre il Governo ai venti di una crisi, che potrebbe manifestarsi, perfino, prima del previsto. In tale contesto, il Paese invero continua a non vivere un momento sereno da un punto vista economico e, soprattutto, le condizioni internazionali potrebbero accelerare il processo di disgregazione dell’Unione Europea. Se, infatti, la Le Pen dovesse vincere le elezioni presidenziali francesi, ci troveremmo – effettivamente – di fronte ad un passaggio di autentica svolta nella storia del vecchio continente e, di fronte a quest’eventualità, serve nel nostro Paese un Partito Democratico che sia autorevole e che sia guidato, in particolare, da una personalità che non sia reduce da precedenti sconfitte, che ne minerebbero la credibilità e la forza nel composito scenario continentale ed internazionale.
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